di Gennaro Fiorentino

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Non poche regioni d’Italia possono vantare la presenza sul loro territorio di aree talvolta transcomunali caratterizzate da requisiti straordinari che ne fanno enclave singolari e seducenti plaghe. Penso alla Liguria con le Cinque Terre, al Piemonte con le Langhe, al Veneto con le Ville Palladiane, alla Puglia con il Salento, alla Campania con la Costiera Amalfitana e chissà quanti altri esempi sarebbero proponibili. Seguendo il filo di questo discorso arriviamo nel Lazio per parlare in analogia, della zona dei Castelli dove di castelli invero ce ne sono pochi o punto.

Con la denominazione di Castelli Romani si indica infatti un insieme di paesi o cittadine dei Colli Albani posti a breve distanza da Roma. Come ha ricostruito lo storico Giuseppe Tommasetti (1848-1911), la denominazione risale al XIV secolo quando molti abitanti di Roma, per sfuggire alle difficoltà economiche e politiche derivanti dalla Cattività Avignonese, si rifugiarono nelle residenze delle famiglie feudali romane dei Savelli (Albano, Ariccia, Castelgandolfo, Rocca Priora), degli Annibaldi (Montecompatri e Rocca di Papa), degli Orsini (Marino), e dei Colonna (Monteporzio Catone, Nemi, Genzano e Civita Lavinia).

Il territorio dei Castelli Romani rappresenta un’area di natura vulcanica originatasi dal crollo del Vulcano Laziale avvenuto alcune centinaia di migliaia di anni fa. In seguito a questo collasso si produssero una serie di bocche o crateri di cui il più importante corrisponde all’odierno Monte Cavo. Altre invece di dimensioni più ridotte diedero luogo ai laghi che, scomparsi in gran parte, sono testimoniati oggi dal lago di Albano e da quello di Nemi.

La regione può essere divisa in alcune sottosezioni: la Tuscolana includendo quei comuni che insistono a lato di questa strada (Frascati ne sarebbe il perno), l’Appia lungo la strada verso il sud limitandosi a Velletri ed esordendo con Albano Laziale, la Lanuvina trovando in Lanuvio per così dire, il centro principale.

In questa divisione convenzionale, la città di Marino potrebbe essere assunta come unione tra l’area Tuscolana e quella Appia.

Anche se, come s’intuisce, non è materia paragonabile ad una formula chimica, per convenzione si elencano in 14 i comuni per tradizione ed a giusto motivo, possono fregiarsi di appartenere ai «Castelli Romani». Secondo una diversa divisione, il loro numero assommerebbe a sedici.

"THOMSON & HOUSTON"

La storia di questa compagnia anglo francese è piuttosto articolata e risale alla fine dell’800. Nota come avanguardia della General Electric americana, l’azienda fu fondata a Parigi il 7 febbraio 1893. La sua missione era la gestione dei contatori e lo sfruttamento dell’elettricità per trazione. Intraprende a costruire linee tramviarie elettriche a Parigi grazie a brevetti made in USA. Sono certo che alle complicate vicende societarie, siano stati dedicati non pochi libri. Però leggendone le vicende sia pure in maniera sommaria attraverso i noti siti enciclopedici (Wikipedia), subito si rileva lo spirito intraprendente per non dire rampante che la distinse. Non desiderando imbarcarmi in questa incredibile saga, sarebbe anche fuori argomento, vengo subito al nostro tema.

All’inizio del ‘900 molte compagnie di trasporto tramviario si contendono le concessioni sul territorio parigino. Ottimo mercato per le imprese americane di materiale rotabile.

Oltre alla citata Thomson & Houston (Gruppo GE),

 anche la Westinghouse è molto apprezzate per i suoi motori.

Qui ne vediamo una vettura della compagnia EP (Est Paris) (Coll. G. Fiorentino).

 

Immagino che l’azienda avesse uno staff pensatore occupato con un instancabile lavoro, ad inventare progetti da sottoporre alle autorità per ottenerne appalti e concessioni. Come ho letto un po’ in giro, era l’epoca che le ferrovie erano fortemente remunerative.

Dopo aver usufruito di un cospicuo contratto per l’elettrificazione a terza rotaia della linea Milano-Varese (Rete Mediterranea) inaugurata il 14 ottobre 1901, la T&H sbarcò a Roma. Propose al governo di elettrificare la linea ferroviaria Roma Frascati concedendo come omaggio (incluso nel pacchetto) lo scavo del traforo sotto il Quirinale (Via Nazionale-Via del Tritone). Altre opzioni della complessa proposta, erano le concessioni per alcune linee tramviarie in ambito urbano. Il progetto fu rifiutato ed il tunnel scavato dalla SRTO (Società Romana Tram e Omnibus). La T&H non demorse.

Il traforo sotto il Quirinale a pochi giorni dall’inaugurazione visto dal lato di Via Nazionale.

Si noti ancora vigente il senso di marcia a sinistra (Coll. G. Fiorentino).

Facendo leva sulla circostanza che la «nuova» Roma-Frascati ferroviaria sarebbe stata attrattrice di un incremento di traffico, aveva altresì previsto una rete tramviaria suburbana adduttiva per collegare la stazione della capitale tuscolana, con gran parte dei paesi contigui costituenti il tessuto dei Castelli Romani. Ma non rassegnata da questa raffica di rifiuti, rilanciò. Intendo che partendo da quel progetto extra urbano, propose che la prospettata rete avrebbe potuto (o dovuto) avere la sua origine nei pressi della stazione centrale di Roma (Termini).

Questa volta la proposta fu presa in seria considerazione. Però l’Autorità impose che avrebbe trattato solo con una società di diritto italiano e non con quella francese. Risposero quelli della T&H «non c’è problema» correndo, si fa per dire, dal notaio per fondare la STFER, entità di diritto italiano ma con capitali francesi.

UNA MODERNA RETE

Il 29 novembre 1899 venne quindi fondata la Società delle Tramvie e Ferrovie Elettriche di Roma (STFER), che subito dopo ebbe la concessione per le linee tramviarie Roma-Grottaferrata-Genzano con diramazione Squarciarelli-Valle Oscura per interscambio con la costruenda funicolare ad acqua per Rocca di Papa (incluso nell'offerta).

Già l’8 novembre del 1903 un sommario esercizio fu intrapreso tra San Giovanni (esterno fornice delle mura) e Via delle Cave. Due anni dopo, previo apertura di un nuovo fornice (sic!), il tram entrò nella piazza vera e propria. Intanto frenetiche trattative con la SRTO (esercente la rete urbana) per l’utilizzo dei suoi binari, condussero ad un attestamento in Via Principe Umberto (oggi Via Amendola) nelle adiacenze della Stazione Termini.

Il 19 febbraio 1906 aprì al pubblico il servizio extraurbano, sulla tratta Roma-Grottaferrata-Frascati.

Il tram elettrico “ad imperiale” è giunto a Frascati. I carrettieri presenti alla scena stanno a guardare,

una metafora del progresso che avanza inarrestabile (Coll. G. Fiorentino).

Nell'aprile e nell'ottobre dello stesso anno aprirono, rispettivamente, la linea Grottaferrata-Genzano di Roma e la diramazione per Valle Oscura presso stazione inferiore funicolare per Rocca di Papa. Il successo della tranvia fu immediato e la STFER, anche facendo seguito alle richieste provenienti soprattutto dal comune di Velletri, decise di estendere la propria rete collegando Roma con Albano anche lungo il percorso più diretto, che seguiva la via Appia e prolungando la linea da Genzano a Velletri.

La linea tra vicolo delle Cave (poi piazza dei Colli Albani) e Albano venne inaugurata il 4 marzo 1912, mentre il prolungamento Genzano-Velletri aprì il 12 settembre 1913. Infine, con l'apertura della diramazione per Lanuvio, l'8 luglio 1916, la rete dei Castelli raggiunse la sua massima estensione.

E’ vero che ciò rappresentava il risultato dell’ostinazione della STEFR nel chiedere continue concessioni e licenze, ma è pur vero che essa rispondeva ad una pressione quasi petulante, dei sindaci del comprensorio che con ostinazione chiedevano l’inclusione del loro comune lungo gl’itinerari. Quelle stesse figure che mezzo secolo dopo avrebbero chiesto con pari veemenza la rimozione di quegli scomodi e sferraglianti tram che impedivano con prevaricazione il traffico gommato. 

Nella figura 4 si ha una visione schematica della tramvia dei Castelli nel momento della sua massima espansione. E’ facile immaginare che l’estremo sud, posto a Velletri, si trovi su una collina da dove si scende sulla pianura pontina. Di lì principia la mitica strada detta per tradizione «la Fettuccia di Terracina», vera vena giugulare tra il Lazio e la Campania. Essa trovò durante il regime un concorrente nella via Pontina (Pomezia-Aprilia-Latina-Sabaudia-Terracina) costruita in uno con la bonifica di quei territori che erano stati malsani.

Schema della rete nel momento del suo massimo sviluppo (elab. A. Gamboni).

L’ESERCIZIO NEI PRIMI ANNI

Con buona pace di carrettieri e barrocciai che videro finire il loro lavoro, l’arrivo del tram ai Castelli, rappresentò una rivoluzione epocale. L’accesso a quei territori di cui si era tanto sentito parlare ma che solo pochi potevano permettersene la visita, subì finalmente l’agognato sdoganamento. Specialmente nei giorni festivi, comitive di popolo davano un vero e proprio assalto a quei buffi convogli a due piani diretti a Frascati, Grottaferrata, Castelgandolfo o, addirittura, Velletri. Si andava a cercare la «fraschetta» per degustare i mitici vini locali. Oppure verso Castelgandolfo per visitare il palazzo papale con i suoi giardini o il lago di Nemi al Museo delle navi.

Una tipica vettura ad “imperiale” transita presso i giardini papali a Castelgandolfo (Coll. G. Fiorentino).

In senso opposto l’arrivo del tram indusse nuove opportunità di commerci specialmente nel campo vinicolo e gastronomico (porchetta e coppiette) nonché in quello dei prodotti degli orti. Qualcuno inoltre cominciò a pensare che tutto sommato, di fronte al proliferare degli enormi condomini cittadini, avrebbe potuto rappresentare una «furbata», andarsene a vivere in una casettina ai Castelli. Così si poteva risolvere in un sol colpo problema abitativo e villeggiatura: con la chimera di usare un servizio tramviario affidabile e preciso per un pendolarismo ante litteram.

Le cronache dell’epoca riportano di un curioso quanto luttuoso incidente accaduto proprio in questa prima fase di esercizio. All’altezza di Porta Furba (località periferica oggi inclusa nell’itinerario della linea MA), una due piani (pare rimorchio) si rovesciò per l’eccessivo peso dei trasportati gran parte accomodati sul secondo piano in maniera maldestra: quasi fossero su una barca a vela. L’episodio determinò la rinuncia all’utilizzo dei rimorchi ad imperiale che furono pertanto motorizzati.

Così con ottimi risultati di gradimento e di efficienza si avviò la storia della Rete dei Castelli che sarebbe durata circa 60 anni, attraversando due guerre mondiali. Non è compito del modesto narratore di trasformare questo incontro in una cronistoria ma non può esimersi però dal citare alcuni eventi rilevanti. Il 21 gennaio 1928 la STFER viene municipalizzata cambiando anche ragione sociale e presto incorporerà altre ferrovie; il cambiamento viene rilevato dall’aggiunta di una E alla ragione sociale. Intanto negli anni ‘30 del ‘900, l’apertura degli stabilimenti di Cinecittà e il concomitante raddoppio dei segmenti urbani, favoriranno il nuovo esercizio urbano verso tale meta nonché quello verso Capannelle rispettivamente sulla Via Tuscolana e sulla Via Appia.

IL MATERIALE ROTABILE

Consultando le pubblicazioni che mi hanno aiutato a compilare questo piccolo lavoro, mi sono reso conto che, pur in presenza di circostanze ineluttabili, c’è una certa difficoltà ad elencare per classi e matricole delle vetture che hanno prestato servizio. Infatti ci sono argomenti che non hanno lasciato traccia; altri veicoli che nel tempo sono stati trasformati per assumere altre matricole; motrici rese rimorchi o viceversa. Insomma per non tediare, ho scelto la strada di parlare solo delle macchine di cui possiedo o posso reperire immagini ragionevolmente accettabili. A mo’ di esempio, non parlerò di certo delle cosiddette giallette ossia le vetturette che espletarono il servizio all’alba della rete sul percorso San Giovanni-Vicolo delle Cave. Infatti neanche i grandi studiosi della materia come Muscolino o Formigari, ne citano notizie attendibili se non «si dice» che sono diventate leggenda.

La prima fornitura di veicoli per espletare la vasta rete, consistette in otto motrici ad «imperiale» cioè con il secondo piano, e quattro rimorchiate simili ma senza motore.

Le motrici disponevano di I e II classe mentre i rimorchi solo di II.

Intorno al 1920, queste ultime furono rese motrici forse in conseguenza all’incidente cui si è accennato. In ciò si avvalsero della loro predisposizione a tal fine.

Incuriosisce notare come il secondo piano abbia avuto delle chiusure che definire precarie rappresenta un eufemismo, essendo affidate solo a svolazzanti tendaggi. La visione del verde paesaggio da lassù, doveva essere una delizia specie se abbinato alla freschezza ispirata dalla velocità.

Ma s’immagini che sofferenza nei mesi invernali quando il frequente affollamento, costringeva a salire su per congelarsi. La foto 6 ci mostra il cosiddetto bivio Grottaferrata con la linea che si stacca per ascendere a Frascati (a sinistra), mentre quella a destra è diretta a Marino. La casetta al centro (in vago stile chalet svizzero) era una specie di stazioncina nonché posto di manovra per governare gli scambi. Le imperiali di costruzione Thomson & Houston, furono radiate nel 1958. Se ne ricorda un’apparizione come simulacro nel film «Totò e Marcellino».

Gran traffico di imperiali al bivio Grottaferrata.

Alla luce della partenza sprint in termini di gradimento e di frequenza, la compagnia STFER si dovette adoperare per integrare la piccola flotta di vetture a due piani. Così, già nel 1912, commise alla fabbrica Boker, due piccoli lotti ad un piano (matr. 60-69 e 70-77). La Boker era nota, avendo motorizzato le imperiali. Le due piccole serie, erano di elegante aspetto dogato con lucernario. Per quanto riguarda la motorizzazione, avevano una singolarità almeno le prime 10. Nei due assi dei carrelli era motore solo uno che tuttavia condivideva il moto con l’altro, trasmettendolo con una biella. Dal che il soprannome di «biellette».

Un’elegante vettura dogata attraversa la località di Marino, capitale del vino dei Castelli (Coll. G. Fiorentino).

Purtroppo il singolare sistema, geniale solo all’apparenza, non diede buoni risultati operativi. Pertanto si provvide ad installare gli affidabili truck Brill non solo alla seconda serie di 8 macchine, ma anche a modificare la prima che era costituita da 10. Come pure la seconda fu costruita con una porta centrale ed una estrema anziché con tre: ciò secondo gli ultimi dettami pervenuti dagli USA nel rispetto delle teorie della scuola di Peter Witt circa la migliore efficienza per la riscossione del corrispettivo dei biglietti. Le macchine ebbero anche una piccola serie di rimorchi e col tempo furono private del lucernario.

Immagine di fabbrica della vettura 7 della piccola serie delle “napoletane” (dal sito “tram Roma”).

 Nel 1927 la STEFR pensò di dotarsi di una piccola serie di tramvetti biassi destinati a servizi navetta nonché operativi sul raccordo di Lanuvio (matr. 7-14). In quanto costruiti dalle OFM (Officine Ferroviarie Meridionali)assunsero da subito il soprannome di «napoletane». Il lotto era costituito da otto vetture corredate da altrettanti rimorchi. Il truck era Brill mentre il motore il noto CGE 216 da 50 HP. Numerate da 7 a 14, le vetture furono radiate nel 1960. I rimorchi con matricola da 113 a 120, subirono la stessa sorte.

ULTIMO ORDINE

Prima di addentrarci nell’assortito e variegato catalogo del materiale per servizio urbano, è necessario parlare dell’ultimo ordine del 1931 di fornitura di materiale rotabile, destinato ai collegamenti suburbani. Si tratta di otto motrici con cassa metallica (divise in due piccoli lotti da quattro) corredate sin dalla nascita di altrettanti rimorchi con caratteristiche moderne ed innovative. Furono tutte costruite dalla nota fabbrica di materiale ferroviario Carminati & Toselli di Milano ed equipaggiate con 4 motori CT 144 da 87 HP. Infatti oltre che trarre le motorizzate, la trazione doveva essere assicurata anche ai rimorchi. Questi erano del tutto simili alle motrici senza, ovvio, essere provvisti di motore. La numerazione fu 81-84 e 91-94 per le due serie.

Elettromotrice matricola 94 con il rimorchio di pertinenza espleta servizio suburbano per Genzano.

L’allievo VF che fa capolino testimonia un transito per località Capannelle,

dove risiede la scuola nazionale antincendi dei VV. FF.

Località di ripresa Roma - Via del Viminale (Coll. G. Fiorentino).

I rimorchi invece 281-284 e 291-294. Il secondo gruppo era addirittura dotato di banco per cui potevano essere pacificamente da ritenersi reversibili. L’anno di radiazione fu il 1965. Possiamo pertanto dire che queste ultime vetture non solo affrontarono e superarono i pericoli della guerra ma svolsero il loro servizio con onestà, fino agli ultimi giorni della rete dei Castelli.

TRAM E CINEMA

Il 28 aprile 1937 s’inaugura Cinecittà con 21 teatri di posa, (in realtà 20 perché il 17 non sarà mai impiegato) costruita oltre i bordi della città. Il concepimento ha seguito di poco, il terribile incendio che ha distrutto gli stabilimenti Cines. Il suo personale sarà assorbito dal nuovo Ente a patto che sottoscriva la tessera del PNF. Posto sulla stretta via Tuscolana, si trova grosso modo presso l’Osteria del Curato, località poi resa famosa come capolinea della MA. Le «star» vi arrivano in auto con l’autista mentre la bassa forza, addirittura a piedi o, nel migliore dei casi, in bicicletta.

Si pensa e si procede a prolungare la linea urbana dei Castelli, fino a quel momento limitata al Quadraro. E’ un vero boom. La Termini-Cinecittà diventa una linea di forza incoraggiando sia l’ampliamento della Tuscolana che un’inarrestabile opera di urbanizzazione. L’ormai larga strada viene ribattezzata «Viale della speranza» riferendosi ai sogni, spesso infranti, di chi la percorreva andando a cercare il successo. (in calce, link per breve filmato).

VIGILIA DI APOCALISSE

La linea Termini-Cinecittà si affianca a quella urbana per Capannelle in servizio da qualche anno prima. I due itinerari hanno il doppio binario che conferisce loro un alto senso di efficienza e di modernità. Come vedremo saranno i collegamenti che sopravvivranno alla guerra ed alla cosiddetta motorizzazione di massa, vendendo cara la pelle. Addirittura, considerato l’alto valore della loro funzione, sapranno adattarsi agl’incombenti lavori della linea 'A' che, guarda caso, ne ricalcherà in gran parte l’itinerario. Ciò vale per la linea per Cinecittà. La compagnia esercente, la STFER, ormai a capitale pubblico, di fronte a questo alto gradimento, corre ai ripari provvedendosi di una flotta specifica per il servizio urbano. Lo vedremo subito dopo. Intanto la rete interurbana dei Castelli negli anni ‘30 del ‘900, vive il suo momento di gloria. Decine sono le corse ogni dì verso Frascati, Velletri, Marino e Rocca di Papa. In questo caso però viene richiesta la rottura di carico ed interscambio con la funicolare.

Un tram della famiglia Boker in sosta al capolinea della funicolare per Rocca di Papa,

attende la partenza per il rientro a Roma (Coll. G. Fiorentino).

Non paghi di ciò, vengono altresì allestite corse particolari intercomunali dette intercastellari (ossia con origine e destinazione anche tra i vari comuni che costituiscono la vasta rete). Addirittura il collegamento tra Roma e Velletri è assicurato da ventisei coppie di treni al giorno di cui sette classificate dirette. La rete ammonta al ragguardevole sviluppo di 76 chilometri circa di cui 15 a doppio binario.

Il 10 giugno 1940 scoppia la guerra. I nostri tramvetti non si lasciano intimidire e continuano imperterriti la loro funzione quanto mai preziosa considerando l’incombente razionamento dei carburanti petroliferi. Anzi la bella compagnia assorbe sia la Roma-Ostia Lido che la Roma-Fiuggi. L’aggiunta di una letterina sintetizza la nascita del grosso complesso STEFER che giungerà fino ai giorni nostri. Il nuovo assetto suscita entusiasmi e pruriti di nuovi traguardi: da un rilancio dei tram dei castelli con sede propria e caratteri di ferrovia suburbana alla trasformazione di molti segmenti in filovie.

L’avvicinarsi della guerra che non risparmierà la capitale, le sue luttuose conseguenze, la distruzione di buona parte delle strutture, non tarderanno a raffreddare gl’impeti e condurre i poteri decisionali ad un realistico contesto.  

GALLERIA DELLE URBANE

Nel 1935 e 1937 la STEFER acquista due lotti di vetture (12+8) costruite secondo i dettami made in USA di Peter Witt sulla falsariga delle MRS dell’ATAG (che aveva preso il posto della citata SRTO). Si tratta di tram che nella concezione a carrelli dovevano sostituire una motrice con un rimorchio conferendo flessibilità e risparmio di personale (solo un bigliettaio). Erano attrezzati per un possibile accoppiamento, prerogativa che non fu usata quasi mai.

Una vettura della classe MRS attende la partenza al capolinea Capannelle.

Il terminale fu altresì utilizzato negli anni ’70 come inusitato “cimitero degli elefanti” per bus.

Lo diventerà anche per il materiale tramviario della dismissione (Foto Mr Haseldine).

Negli anni della vigilia della II GM, un direttore tecnico della STEFER, l’ing. Urbinati, ha l’idea di connettere stabilmente due vetture. Risolve il grosso problema dell’articolazione tra le due semicasse mediante un geniale meccanismo che dal suo nome prenderà la definizione di «giostra Urbinati». Il meccanismo viene montato per la prima volta su una matricola sperimentale la 401 costruita per le specifiche competenze tra TIBB e OMS. E’ un successo clamoroso che, pur con piccoli modifiche, darà luogo ad una serie completa con ulteriori undici unità. Il bel tram riscuote l’approvazione dell’utenza e l’invenzione dell’ingegnere Urbinati verrà ampiamente enfatizzata dal regime. E’ pur vero che, superati gli anni canonici di protezione del brevetto, esso sarà adottato con gli aggiornamenti del caso, in tante formule sia ferroviarie, sia tramviarie. Ma la serie include anche tante altre innovazioni che vanno oltre il moderno aspetto. Superate indenni la guerra, furono dismessi nel 1980 alla chiusura delle linee urbane. Ne sopravvivono alcuni esemplari come testimoni di un genio: la 401 a Torino, la 402 a Colonna e la 404 al Museo di Porta San Paolo.

Esemplare 408 della serie Urbinati espleta servizio urbano per Cinecittà

negli ultimi giorni prima della sua chiusura (Foto Mr Haseldine).

La singolare ed innovativa vettura, in particolare il prototipo di pre-serie 401, è stato riprodotto in scala H0 ed in maniera esemplare dall’abile modellista Raffaele Ciotti. E’ considerabile un vero gioiello tant’è che il nostro sito ne ha ospitato la procedura di lavorazione in un interessante articolo scritto dallo stesso autore.

 clicca qui

Tra gli anni 1952 e 1953, emulando l’ordine dell’ATAC, anche la STEFER si dota di vetture di costruzione STANGA. Sono pressoché uguali alla serie 7000 municipali che ne ha ispirato l’acquisto. Sono otto e sono numerate da 501 a 508.

Una STANGA della Sterfer sottopassa i fornici a piazza San Giovanni in direzione capolinea Via Amendola

negli ultimi giorni di esercizio (Coll. G. Fiorentino).

Anche all’osservatore più distratto non sfuggirà la loro straordinaria somiglianza con le cosiddette Urbinati dell’anteguerra. Secondo uno stile che si sta ormai consolidando da decenni, assumono la livrea bicolore sociale con il grigio ed il blu. Saranno radiate nel 1980 all’epoca dell’apertura della linea A della metro di Roma. Anzi la 501, opportunamente imbandierata e cartellonata chiuderà la storia della rete il 15 febbraio 1980.Ciò accadrà sulla linea di Cinecittà che in realtà da qualche tempo ha deviato il proprio percorso per i lavori della linea A. Il collegamento invece per Capannelle ha terminato la sua carriera alcuni anni prima.

IMMIGRATE

Nel 1963 la STEFER acquista dall’ACEGAT di Trieste sei motrici tramviarie per ulteriore rinforzo del parco urbano. Saranno rese monodirezionali svolgendo un buon servizio.

Una “Triestina” a località Capannelle (Foto Mr Haseldine).

Un esemplare superstite funge da monumento in un parco pubblico a Lanuvio.

Operazione analoga fu effettuata con l’ATM di Bologna nel 1964 da dove vennero quattro motrici. Anch’esse furono rese unidirezionali. In realtà furono poco sfruttate. Di esse una è tornata a Bologna ed una a Torino per fini museali.  

Di contro, una “Bolognese” a Roma (Da www.tramroma).

LE MATER STEFER

Nel 1936 l’ATAG esercente il trasporto urbano, ad emulazione di analoghe soluzioni create altrove, s’inventa le «due camere e cucina». Si tratta dell’accoppiamento stabile di una vecchia motrice con un rimorchio collegati da un elemento inedito sospeso tra i due. La giostra Urbinati era forse in gestazione. Il nuovo treno consente di risparmiare materiale e personale pur con i suoi 20 metri. Siamo pur sempre in regime di autarchia. Alla loro dismissione nel 1966, sei di essi saranno trasferiti alla Stefer godendo di una seconda vita con piccolo adattamenti (trolley e livrea).

Saranno ritirate nel 1972 al limite dell’usura.

Una Mater in servizio sulla rete ATAC. La presenza nell’immagine del Colosseo, mi ha convinto

a prescindere dalla livrea aziendale per documentare il modello (Coll. G. Fiorentino).

DISMISSIONE

A partire dai primi anni ’60, si assistette ad una lenta ma inesorabile dismissione della rete. Non pochi i motivi di questa agonia annunciata e richiesta a viva voce da quelle figure istituzionali che decenni prima ne avevano preteso la presenza. Diciamo che un crescente pendolarismo, stimolò il comprensibile desiderio di una mobilità privata ed indipendente. La crescita del numero di auto in strada finì con creare anacronistici e frequenti ingorghi di traffico. I due generi di veicoli si combatterono a vicenda dando però il privilegio della vittoria all’interesse privato.

L’inaugurazione della linea della metropolitana, come detto, calò l’ultimo sipario su questa storia. Lo storico deposito dell’Alberone (sulla Via Appia) si trasformò ben presto nel laboratorio di rottamazione di gran parte del materiale rotabile residuo.

Oggi l’elettromotrice 82 ferma alla stazione metro Anagnina, testimonia nel piccolo la “Rete dei Castelli Romani”

 Immagine della macchina matricola 82 esposta all’Anagnina a futura memoria (Foto R. Ciotti).

 

 

* Per visionare il filmato collegarsi a youtube e cercare:

Viale Della Speranza (1953) di Dino Risi - Tranvetto della Stefer

 

 

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