Testo e foto di Raffaele Ciotti

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Fin da bambino, quando abitavo a Roma in Via Giovanni Giolitti, proprio a causa della vicinanza della Stazione Termini, penso di essere stato contagiato dalla “treniviaria” una malattia nella quale il sintomo precipuo è rappresentato da una smodata passione per il mondo delle ferrovie, e più specificamente per tutto ciò che concerne il materiale rotabile.

In questa grande famiglia vi sono inclusi anche i tram, molti dei quali sono stati soppressi e sostituiti con trasporto su gomma o con la metropolitana. In particolare, la linea Termini-Cinecittà che transitava nella via parallela alla mia abitazione (via Filippo Turati), veniva espletata dalla società Stefer utilizzando un tram articolato la cui caratteristica forma delle testate, non poteva passare inosservata ai miei occhi di bambino. Vi ravvisavo infatti la somiglianza con uno strano animale, frutto di un improbabile quanto impossibile incrocio tra un’anatra ed un serpente. Come omettere di realizzare il modello di un così curioso mezzo di trasporto sul quale centinaia di volte avevo viaggiato?

Deciso! Procuratomi il figurino sul quale sono riportate le misure di massima, ho ingrandito il disegno alle dimensioni H0 (1/87) dal quale ho desunto poi tutte le altre quote necessarie alla costruzione e, coadiuvato dalle numerose foto del reale, scaricate da Internet, ho iniziato a disegnare in autocad le varie parti.

La scelta prioritaria è stata quella di decidere se costruire un modello motorizzato o meno, dal momento che questa differenza implica importanti e notevoli diversità nella progettazione e nella stesura dei disegni; diversità che in nessun caso potranno essere modificate una volta realizzato il modello.

Devo subito dire che la mia tecnica costruttiva non si avvale del costoso (per me) processo di fotoincisione ma del più economico (ma non per questo meno preciso) taglio laser. In questa fase bisogna immaginare e “costruire” mentalmente il modello, capire come ancorare le parti tra loro, dove occorrono filettature ecc. e quindi prevedere incastri, piegature, forature, saldature. Se si è optato per la costruzione di un modello motorizzato, occorre tener conto dell’interasse del carrello motore (se si preferisce questa soluzione). Nel mio caso adotto un Halling (variabile tra 23 e 30,4 mm) e adattare di conseguenza i disegni dei carrelli e le dimensioni delle fiancate in resina alla minima misura disponibile (23 mm invece dei 21 mm della versione in scala H0, compromesso tutto sommato accettabile).

A proposito delle piegature, esse verranno effettuate disegnando una linea tratteggiata, in quanto il laser “taglia” dove il disegno riporta una linea e si interrompe sul pieno. Quindi si avrà un taglio tratteggiato, che faciliterà la piegatura anche nei punti difficili, come ad esempio i sottili montanti dei finestrini frontali senza interferire con i bordi dei finestrini stessi. Non dimentichiamo, nel calcolo delle misure dei vari elementi, di tener conto dello spessore dei materiali che si intende usare. A tal proposito ed a titolo meramente esemplificativo, il materiale da me usato è l’ottone in vari spessori: 1,5 mm per i paraurti o comunque parti di grande spessore 1 mm per i pianali, supporti per il tetto ecc. 0,5 mm per i carrelli, supporti motore ecc. 0,3 mm per la carrozzeria, frontali ed altre parti minori. Si tenga presente che con il taglio laser si possono realizzare anche piccoli particolari completi di incisione (es. balestre o boccole) (v. Foto 1) ed anche ottenere delle incisioni più o meno profonde delle varie parti (es. porte interne, cornici, linee ecc.). Dopo aver disegnato tutte le parti necessarie al nostro modello, evidenziando come già detto le piegature e, in colore verde le incisioni, e dopo aver verificato la loro corrispondenza in un montaggio virtuale, si convertono in un formato leggibile dal laser (Corel Draw) e si spediscono alla ditta che fornirà i materiali ed eseguirà il taglio di tutte le parti occorrenti (v. Foto 2).

    

    Foto 1: balestre, boccole ecc.                                           Foto 2: taglio laser delle varie parti.

In attesa della consegna dei particolari tagliati, occupiamoci dei particolari minori. Intendo: Fanali (tubetto di ottone “tornito” con il “minidrill”, ivi inserito uno spezzone di fibra ottica e completato con una piccola goccia di resina trasparente ad imitazione del vetro bombato) (v. Foto 3). Fiancate carrelli, ottenute assemblando le varie parti in ottone (balestre, boccole, molloni ecc.) su un pezzetto di bi-scotch e colandovi gomma siliconica allo scopo di ottenere lo stampo che servirà per la costruzione di tutte le fiancate dei carrelli in resina caricata con pigmento nero (v. Foto 5); allo stesso modo sono realizzati i predellini. Per la giostra Urbinati e per far sì che essa ruoti in sincronia con il carrello centrale, è stato previsto un perno quadrato di 2 x 2 tra questo e la giostra. Tutti gli altri particolari minori (barra di traino, supporto di essa ecc.) sono tutti costruiti in proprio, per i lampeggiatori sono state usate micro rondelle di acciaio da 1 mm. con una goccia di resina arancio, rossa o trasparente anteriore (v. Foto 3).

Foto 3: piccoli particolari (fanali, fanalini ecc.).

Foto 4: le varie parti del modello dopo la saldatura.

Gli unici componenti acquistati sono il pantografo, le ruote e le decals disegnate con Corel Draw ed ordinate via mail, mentre le tabelle di percorrenza sono state realizzate al pc su carta fotografica. In questo prototipo, in via sperimentale, sono stati montati i tettini in ottone, ma la difficoltà data dalla non facile geometria degli stessi, con quelle particolari “basette”, suggerisce in un prossimo modello, di adottare dei tetti realizzati in plasticard, materiale molto più lavorabile. Prima di iniziare il montaggio vero e proprio mediante saldatura a stagno, bisogna togliere tutte le piccole “bruciature” che il laser inevitabilmente causa, strofinando le varie parti su carta vetrata 600. Non dimentichiamo di “cuocere” con una fiamma tutti quei pezzi che prevedono una piegatura allo scopo di non far spezzare l’ottone durante la detta. Dopodiché si inizia saldando le fiancate, le testate, e via via tutte le parti componenti la carrozzeria utilizzando come flussante, dell’acido cloridrico (muriatico) al 30% opportunamente spento con zinco. La tipica bombatura sui respingenti anteriore e posteriore è ottenuta con un particolare in ottone da 1 mm sormontato da stucco da carrozziere (v. Foto 4). A parte si saldano i carrelli e si completano con ruote a vela da 9 mm e con il telaio che sosterrà le fiancate dei carrelli in resina (v. Foto 5). Se il modello dovrà essere motorizzato, si incolleranno ai due lati di ogni carrello, due piccole basette in vetronite da 0,5 mm complete di una lamella prendicorrente in rame al berillo, mentre per l’illuminazione anteriore, costruiremo un piccolo c.s. in vetronite per il led SMD, bianco caldo.

Foto 5: fiancata in resina e carrelli montati.

Dopo il montaggio della carrozzeria si asporteranno con spazzola metallica montata sul minidrill, tutte le eccedenze ed asperità delle saldature. Indi si provvederà a lavarla insieme a tutti gli altri componenti in un bagno di acqua calda e detersivo per piatti. Ottimo per chi riesce a trovarlo, è anche il VIM in polvere, strofinandolo con vecchio spazzolino da denti. Infine si sciacquerà molto bene il tutto e si lascerà asciugare tutta la notte. Il giorno dopo si potrà stendere una mano di primer su tutto il modello, che verrà successivamente verniciato di bianco panna non dimenticando le porte, la giostra Urbinati e le lastrine coprirespingenti.

Asciugata la vernice bianca si provvederà alla mascheratura della metà superiore della carrozzeria e si potrà verniciare di blu la parte sottostante (v. Foto 6). Lasciamo passare una giornata per assicurarci che la vernice sia ben essiccata. Ora passiamo ad applicare le decals (che proteggeremo con pochissimo trasparente dato con un pennellino). Una volta essiccato, potremo stendere una mano di trasparente a tutto il modello per permettere di poterlo maneggiare senza temere di danneggiare le decals e le vernici sottostanti. Verniciamo ora i tettini in grigio perla e, dopo averli mascherati, verniceremo le loro parti centrali superiori in grigio antracite. Prepariamo le porte: dopo aver mascherato e verniciato anch’esse con il bianco ed il blu, con un pennarello finissimo indelebile (max 0,5 mm), si ripassano le incisioni che simulano le antine. Indi vi si incolla (non con attak!) una lastrina di acetato trasparente. Si incolleranno al loro posto con colla bicomponente.

Foto 6: il modello a verniciatura ultimata.

A questo punto potremo completare tranquillamente il nostro modello incollando lampeggiatori, fanali, predellini, tabelle di percorrenza, specchietti retrovisori, porte ed una strisciolina di scotch nero da 4 mm a simulare la gomma della giostra Urbinati. Per ultimi si incolleranno i vetri di acetato per i finestrini (sempre con colla bicomponente). Si monteranno con una vite da 2 mm i carrelli completi delle loro fiancate, i ganci di traino (vite da 1,6 mm) ed i tettini, avvitandoli sulle traverse precedentemente filettate e saldate a filo carrozzeria. Completeranno il tutto il pantografo con i suoi supporti verniciati in colore argento e fissati nella metà del tetto anteriore ed i tergicristalli sul frontale.

Ora il modello è pronto a far bella mostra di sé in una vetrina o, se motorizzato, ad effettuare il suo tragitto (v. Foto 7 ed 8). Buon lavoro a tutti.

Foto 7 ed 8: il modello ultimato visto dalle due parti. 

di Gennaro Fiorentino

Correva il 1936: così cominciano le belle storie a lieto fine. Ed allora anche questa, che è una storia di tram, può iniziare così. Il tram era il mezzo di trasporto per antonomasia e pertanto c’era una vera e propria febbre alla ricerca di soluzioni che, a parità di impiego degli agenti a bordo, potesse offrire all’utenza una maggiore capacità. Era anche l’epoca in cui le soluzioni innovative trovavano nell’ambito dei depositi delle stesse aziende, la loro primogenitura. E’ questa una tendenza oggi desueta ma che è stata vigente fino agli anni ’60.

Ma ritorniamo alla nostra storia.

Le linee tramviarie di forza della Stefer, oltre alla rete dei Castelli era la Termini-Capannelle e la Termini-Cinecittà. Il direttore dell’epoca dell’azienda suburbana era l’ing. Mario Urbinati. A lui venne l’idea di creare un sistema di articolazione (poi detto Giostra) per l’invenzione di un tram snodato (costituito da due semicasse) e quindi con un apprezzabile aumento di capacità rispetto ad una vettura a carrelli. La joint venture con le officine Stanga diede la luce nel 1938 ad un promettente prototipo immatricolato con il numero 401.

Una volta esaurita una immaginabile fase sperimentale, iniziò la produzione della serie di ulteriori 11 veicoli (402-420) con piccole differenze rispetto al prototipo. Le novità del tram del domani, come si potrebbe considerare l’innovativa vettura, non si limitavano all’articolazione, ma riguardavano anche una serie di aggiornamenti tecnici ritenuti per l’epoca molto moderni.

I tram Urbinati hanno svolto un lavoro incessante fino agli ’80 assistendo e corroborando l’urbanizzazione del quartiere Tuscolano. Quasi in automatico furono pensionati quel febbraio dell’80 quando la linea A del Metro, fece diventare da un giorno all’altro tutto vecchio e decrepito, anche i bei tram Urbinati.

Oggi ne restano ufficialmente tre sopravvissuti: lo storico 401 presso il Club dei tram storici di Torino, il 404 esposto al Museo della Piramide a Roma ed il 402 incluso nella collezione del Museo ferroviario di Colonna. In giro per l’Europa (Francia, Germania, Paesi Bassi) ho notato che anche i tipici tram Duwag e Siemens fino agli anni ’90, includevano l’invenzione geniale del benemerito ingegnere Mario Urbinati.  

La Urbinati 402 in corsa verso Porta San Giovanni (coll. G. Fiorentino)

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