La zona per la partenza della linea da Napoli era compresa tra la
Porta del Carmine e la Porta Nolana lungo la via detta dei fossi,
fuori le mura aragonesi che ancora esistevano tra le due Porte. Il
terreno occupato era in gran parte paludoso ed apparteneva a diversi
proprietari e costò alla Società ben 6.074 ducati e 44 grana, dei
quali 1.740,19 spettarono al solo Sig. D. Raffaele Schisano.
Non a caso era stata scelta questa dislocazione che avrebbe permesso
di erigere la stazione molto vicino alla piazza del Mercato, luogo
di stazionamento di tutte le diligenze che conducevano alle province
del Sud in modo da non variare le abitudini dei cittadini che erano
soliti servirsi di quei mezzi.
Alquanto lontana dal centro della città, essa era raggiungibile da
due omnibus a cavallo che, partendo dal largo del Castello,
percorrevano la strada di Piliero e via Marina e giungevano alla via
dei fossi. Il costo del biglietto era di 5 grana. Erano questi gli
unici mezzi autorizzati alla sosta dinanzi ai cancelli della
stazione.
Nella trattazione relativa alla sua descrizione seguiremo
cronologicamente gli sviluppi costruttivi riferendoci di volta in
volta ai pochi documenti iconografici giunti fino a noi, oltre che a
rilievi eseguiti di persona sul posto esistendone tutt’oggi tracce
ben riconoscibili ma in precarie condizioni. Il più antico documento
consultabile è una planimetria eseguita dal prof. Stefano Mililotti
nella quale lo spazio a disposizione appare suddiviso in tre zone.
Planimetria
tratta dall'appendice di S. Mililotti al volume "Sulle Strade di
ferro", lezioni date dal prof. M. Minard nel 1840.
La parte anteriore era costituita da un ampio piazzale lasciato
sgombero per i successivi previsti ampliamenti del complesso.
Sottoposto petto al piazzale anzidetto era il piano di posa dei
binari: li avveniva l’inversione del senso di marcia delle
locomotive per mezzo di due piattaforme girevoli. Due rampe in lieve
pendenza fiancheggiavano tutta la zona descritta e mettevano in
comunicazione il piano stradale con la parte occupata dai binari.
Il primitivo
prospetto della stazione di Napoli.
Esso
costituisce il primo corpo di fabbrica dinanzi al quale sarà
aggiunto
il fabbricato
per gli uffici della Società con le biglietterie per le varie
classi.
(incisione
tratta da "Annali Civili del Regno delle Due Sicilie" - 1839)
Il fabbricato viaggiatori, costituente il centro del complesso, era
composto da due corpi ad un sol piano recanti nel prospetto
anteriore ciascuno tre caratteristici ingressi ad arco che
immettevano nelle sale d’aspetto per i viaggiatori delle varie
classi. Essi erano uniti da un’ampia tettoia in muratura a tre luci
sovrastante i binari e sorretta da due filari di colonnine in ghisa.
L’impiego in un’unica costruzione della muratura e del metallo
costituiva per l’epoca un‘interessante soluzione tecnica, resa
possibile per l’esistenza in zona della fonderia di Zino ed Henry.
Il movimento della stazione era regolato da un orologio posto al di
sopra della tettoia. Alle spalle del fabbricato viaggiatori alle tre
arcate sovrastanti i binari si affiancavano, simmetricamente, altre
due arcate che consentivano il caricamento dei viaggiatori al
coperto. La lunghezza complessiva delle tettoie risultava di 50
metri ed era quindi sufficiente per ricevere un intero convoglio
formato da locomotiva con tender e sette carrozze, composizione
media circolante.
Risulta poco coerente in un’ottica moderna come tanto si badasse a
ben accogliere il viaggiatore in sale d’aspetto, permettergli
l’accesso al treno attraverso un itinerario coperto per poi farlo
viaggiare, nella maggioranza dei casi, in vetture mal protette o
addirittura allo scoperto.
Infine la terza zona della stazione, appena distaccata dalla
precedente, era costituita da altri due corpi di fabbrica, anch’essi
simmetrici rispetto al fascio dei binari, adibiti a rimesse per
macchine locomotive, deposito attrezzi, deposito carbone e ad
officine per la riparazione dei rotabili. Dette officine
comprendevano i reparti riparazione, montaggio, caldareria e forge
nonché i laboratori di torneria, foratura, piallatura e varie i cui
macchinari provenivano, per la gran parte, dalle officine meccaniche
di Sir Joseph Whitworth di Manchester.
L’accesso a questi locali avveniva immettendo i rotabili, tramite un
deviatoio, in due binari di manovra paralleli al fascio principale e
muniti di piattaforme girevoli in corrispondenza di ciascun
ingresso. I materiali edili impiegati per la realizzazione dei
fabbricati provenivano dalle cave di tufo giallo dei rioni Stella e
Sanità.
Ritornando alla stazione, lo schema adottato nella planimetria
racchiudeva i concetti fondamentali di una stazione di testa e
senz’altro si dimostrò funzionale, tanto da essere ripreso
dall’ingegnere Clemente Fonseca nel 1842 e, più tardi nel 1860,
dall’architetto Enrico Alvino per la nuova stazione di Napoli -
Piazza Garibaldi - pur con gli opportuni adattamenti suggeriti dal
progresso.
Così si presentava la stazione nel periodo seguente l’entrata in
servizio della ferrovia e fino a tutto il 1842.
Sezione
longitudinale e prospetto posteriore della stazione di Napoli della
Ferrovia Bayard.
Ricostruzione
eseguita dall'arch. Faina in base a rilievi eseguiti dagli autori.
In quell’epoca, in concomitanza con la sistemazione dell’antistante
via dei fossi, il Bayard, secondo gli accordi intercorsi con il
capitano Fonseca, direttore della Regia Strada Ferrata, ed il
cavalier Giura, responsabile dell’ampliamento e dell’abbellimento
della citata via, fu sollecitato più volte ad abbattere le due
casette adibite a biglietterie che costituivano ostacolo
all’allargamento della strada medesima. Inoltre gli fu imposto di
presentare il previsto prospetto dell’erigenda nuova fabbrica e di
provvedere alla collocazione delle fondamenta della sua facciata.
Per l’abbattimento delle casette e per l’occupazione di una piccola
parte di suolo il Bayard fu risarcito con 1.000 ducati. Salvatore
Fergola nel raffigurare la cerimonia dell’inaugurazione della Regia
Strada Ferrata da Napoli a Casetta, avvenuta l’11 dicembre 1843, ha
marginalmente riprodotto la stazione del Bayard vista dalla parte
posteriore. Questa immagine costituisce un’importante testimonianza
utile per collocare nel tempo la data di ultimazione dei lavori e,
insieme ad un’incisione del Lucioni, un prezioso ausilio per la
ricostruzione architettonica dell’edificio.
L'incisione
eseguita dal Lucioni mostra la via de' Fossi dopo la
sistemazione.
Sono
chiaramente visibili le due stazioni, quella in primo piano del
Bayard
e quella della
regia Strada Ferrata per Caserta.
Il suo prospetto, ispirato vagamente allo stile rinascimentale, era
stato portato sulla via dei fossi mediante un corpo di fabbrica a
due piani, con pianta a forma di U, le cui ali erano state collegate
con un filare di archi al preesistente fabbricato viaggiatori.
Nell’area della stazione, oltre agli uffici dell’Amministrazione ai
quali era stato riservato il primo piano dell’edificio principale,
trovavano sede quattro alloggi, non previsti dalla convenzione,
riservati a personale che doveva essere prontamente reperibile per
il buon andamento del servizio e cioè il capo meccanico, il
responsabile della riparazione di vetture e carri, il capo delle
officine ed il guardiano dei magazzini. L’accesso dalla strada
avveniva attraverso tre archi, sovrastati da una balconata ricavata
sull’architrave sorretta da caratteristiche colonne in laterizio
intonacato e semincassate nel muro. Di qui entravano i passeggeri di
prima e seconda classe che, dopo una breve scalinata, raggiungevano
le rispettive sale d’intertenimento (ubicate nel preesistente
fabbricato viaggiatori) attraverso i due filari di archi coperti
visibili nel già citato quadro del Fergola. I passeggeri di terza
classe entravano da un cancello laterale senza attraversare il
vestibolo della stazione; in tal modo era assicurata la suddivisione
in classi. Il percorso per l’uscita prevedeva il passaggio dinanzi
agli uffici doganali. Ogni viaggiatore doveva munirsi di documento
di viaggio prima di accedere all’interno della stazione, pertanto a
piano terra, ai lati delle entrate, finestre protette da grate in
ferro erano adibite a biglietteria: la particolare sagomatura della
parte inferiore dell’inferriata consentiva lo scambio di biglietti e
denaro a norma di una disposizione della Società prescrivente per
questi locali una tale protezione. Una colorita descrizione di
Emmanuele Bidera ci offre un’immagine piacevolissima di una partenza
in ferrovia per Castellammare:
... io mi diedi ad osservare quel luogo che chiamasi stazione. La
prima classe, con tutta l’eleganza con la quale è messa, era quasi
deserta: tre o quattro signori, l’uno discosto dall’altro, e tutti
taciturni... Offriva la seconda un miscuglio di allegria e serietà:
artisti, commessi, letterati, negozianti, che affratellavansi
conversando, e si davano bel tempo; e fra questi non era io il
secondo. La terza era zeppa di artigiani, contadini, marinari,
servi, i quali facevano un vero baccano. Il buon umore dunque si
perde salendo e si acquista scendendo. Un acuto fischio seguito dal
suono di una campanella rompe il corso delle mie osservazioni: è il
convoglio che arriva. Succede un movimento generale, gli annojati
mettono un sospiro, i pensatori consumano la presa del tabacco che
tengono fra le dita, i galanti si danno a raccogliere gli scialli
delle signorine, la gente bassa si carica le spalle delle ceste e
dei fardelli; si aprono le porte, e tutti ci affrettiamo a prendere
i nostri posti nei rispettivi waggon.
Ecco il segnale della partenza; la macchina si mette in movimento, e
per la scossa ognuno saluta involontariamente il suo prospettico
compagno di viaggio.
Il fumare nella stazione era ... riservato alle sole locomo-tive, ma
qualcuno cedeva alla tentazione ed "allumava il sicario" (accendeva
il sigaro) trasgredendo alle norme. Un tal fatto, di così poca
rilevanza ai nostri giorni, provocò addirittura un’interrogazione
ministeriale alla Società (31 maggio 1844) che dovette giustificarsi
attribuendo l’accaduto alla momentanea asportazione del divieto
affisso in una graticola di ferro a causa dei lavori di imbiancatura
delle sale d’aspetto.
Al calar della sera tutta la stazione assumeva un aspetto
suggestivo: il fumo delle locomotive, lo stridere delle ruote, il
movimento ed il vociare dei passeggeri si fondevano in un unico
quadro rischiarato dalla luce soffusa delle lampade ad olio sparse
un po’ dovunque. Nicola Vittoria, napoletano, che nell’agosto del
‘45 contava quarantanni, da due anni aveva il posto nella Strada
Ferrata col tenue soldo mensile di ducati sette e cinque carlini
nella qualità di custode di tutte le sale a dritta ed a sinistra, ed
ancora coll’incarico di accendere i fanali interni ed esterni delle
carrozze della stazione di Napoli, col munirli d’oglio a conto suo.
Sera dopo sera don Nicola vedeva nascere l’adiacente Regia Stazione
ed un bel giorno, vantando la maturata esperienza presso la ferrovia
del Bayard, pensò bene che un lavoro nell’Amministrazione dello
Stato poteva garantirgli un futuro più sicuro e fu così che
indirizzò una richiesta di assunzione per qualsiasi incarico. Forse
non ottenne quanto si aspettava ma il foglio di carta da lui con
fatica redatto gli ha almeno assicurato un posticino nella storia.
Modello in
scala 1:87 della stazione del Bayard eseguito da A. Gamboni.
Il declino della stazione cominciò con l’entrata in esercizio del
nuovo complesso di piazza Garibaldi voluto dal subentrato Regno
d’Italia. Uno studio delle diverse utilizzazioni avute dallo stabile
fino al suo bombardamento, avvenuto durante l’ultima guerra, esula
dall’argomento di quest’opera. Per brevità ricordiamo che il
complesso, dagli anni ‘20 e fino al 1943, fu "incastonato" nella
struttura in cemento armato del Teatro Italia ad uso del Dopolavoro
Ferroviario. Gli spazi a disposizione furono utilizzati in modo
molto razionale: il corpo di via dei fossi costituì l’atrio con
biglietteria e guardaroba, il primitivo corpo di fabbrica accolse i
camerini e locali vari di servizio per il personale di scena. Al
centro, un palcoscenico bifronte veniva utilizzato da due platee
contrapposte (una estiva e l’altra invernale) ubicate nella vecchia
sede dei binari.
L'edificio
della stazione, diventato ingresso principale del "Teatro Italia",
come appariva
nel marzo del 1943 dopo l'esplosione di una nave nel vicino Porto.
In tempi più vicini a noi e fino agli anni ‘60 è stato utilizzato
come arena essendosi salvati dal bombardamento il palcoscenico e la
platea estiva. Alla fine del 1980, dopo il terremoto del 23
novembre, il rudere è stato rilevato dal Comune di Napoli, avendo
ospitato fino a poco prima la sede del Dopolavoro delle Ferrovie
dello Stato. |