|
di Gennaro Fiorentino |
||||||||
La mia passione per il cinema, direi quello classico, mi porta spesso nei discorsi a citazioni o riferimenti cinematografici in verità non sempre graditi o apprezzati da chi ha la pazienza di ascoltarmi. Così parlando del lago Maggiore, non posso fare a meno di pensare al film “Totò ed i re di Roma” dove si narra di un archivista ministeriale (Totò) che, giunto quasi all’età della pensione, viene sottoposto ad un ingrato quanto tardivo esame per verificarne le capacità culturali. Gli viene chiesto, tra l’altro, da un cinico esaminatore (Alberto Sordi) il più grande lago d’Italia, ispirandogli la risposta con un riferimento proprio al nome. Il povero archivista cade nella trappola tesagli e risponde erroneamente il lago Maggiore, firmando così il suo suicidio professionale. Infatti il maggiore dei laghi italiani è invece il lago di Garda. Il lago Maggiore, detto anche Verbano, non sarà registrato come il massimo dei bacini lacustri, ma non gli mancano di certo motivi di notorietà. Innanzitutto è l’unico lago italiano condiviso oltre che da due regioni (Piemonte e Lombardia), addirittura da due nazioni (Italia e Svizzera Canton Ticino). Anzi questa sua singolare caratteristica funse da scenario ad uno dei più emozionanti capitoli del romanzo autobiografico di E. Hemingway “Addio alle armi”. Vi si narra della rocambolesca fuga durante la I guerra mondiale dell’ufficiale americano Frederic Henry con l’infermiera Catherine Barkley impiegando una semplice barchetta a remi per raggiungere la neutrale Svizzera, proprio attraversando il lago. E cosa dire delle paradisiache isole Borromee, con i loro splendidi giardini, teatro inusitato di struggenti concerti estivi? La perla però resta la cittadina di Stresa il cui solo nome ha il pregio di evocare contesti deliziosi di ville e parchi con il loro esemplare contenuto di fiori e piante. La riviera orientale su cui si affaccia Stresa è sormontata dal monte Mottarone (mt. 1492), la montagna dei due laghi in quanto il suo massiccio Mergozzolo, divide il bacino del Maggiore da quello d’Orta (Cusio). Dalla cima di questo monte, non il più alto delle Alpi, si domina un panorama davvero mozzafiato con una prospettiva di 360° dalle Alpi Marittime al Monte Rosa, su ben sette laghi alpini e, con l’aiuto del tempo limpido, persino sul Monviso. Accennando delle caratteristiche morfologiche, è facile dedurre come il monte d’inverno sia spesso coperto di neve. Alla fine del secolo ‘800 cresceva la febbre per la scoperta del turismo, un’industria che con investimenti tutto sommato modesti, avrebbe potuto dare dei rilevanti risultati in termini di occupazione, di ritorno economico e perché no, come volano per avvicinare i popoli. A tutto questo fervore di iniziative turistiche, non fu certamente estranea l’apertura nel 1905 del tunnel ferroviario Sempione tra Italia e Svizzera, che con i suoi scarsi 20 chilometri di lunghezza, avrebbe detenuto per 76 anni il primato di tunnel più lungo del mondo nella sua classe. Quindi ben presto il lago Verbano, grazie all’ottimo e diretto collegamento ferroviario con la nazione elvetica e con tanti altri paesi della mittel Europa, fu meta di un turismo ricco e qualificato. Tutti questi presupposti, nonché le notizie di lusinghieri risultati sia in termini economici che in quelli di efficienza operativa provenienti dalla ferrovia a cremagliera di Vallombrosa, spinsero il geometra Tadini a redigere un progetto per un collegamento ferroviario tra Stresa ed il Mottarone. Con un promettente fresco microclima estivo, nonché la possibilità di sfruttamento per gli sport invernali, il successo commerciale durante tutto l’anno, sarebbe stato di certo assicurato. Dopo immaginabili trafile burocratiche, il progetto del “nostro” geometra, nella sua fase esecutiva, fu affidata alla impresa Alioth, esperta in collegamenti ad aderenza artificiale. L’inaugurazione avvenne il 12 luglio 1911.
Partenza dell’elettromotrice n. 3 dall’imbarcadero di Stresa in una rara immagine a colori. (slide amatoriale coll. G. Fiorentino)
Disegno della prima elettromotrice tratta da "L'Ingegneria Ferroviaria" del 1911 (coll. A. Gamboni).
Il percorso, lungo circa 10 chilometri a scartamento metrico puro, veniva coperto in circa un’ora e 15 minuti. Il capolinea a valle, era posto sul lungo lago presso l’imbarcadero della navigazione lacuale. Tuttavia era prevista una piccola diramazione per la stazione ferroviaria per realizzare un reale interscambio con tutti i mezzi di trasporto. I due rami si univano appena fuori città costituendo una specie di “Y”. D’altro canto un segmento armato metteva altresì in collegamento le due diramazioni. Il binario scorreva quindi ora ad aderenza naturale, ora attrezzato con una cremagliera di tipo Strub, secondo l’acclività che si presentava. L’alimentazione fu elettrica fin dalla nascita con 750 V a corrente continua. L’itinerario era punteggiato da tre stazioni e due fermate. All’esordio la flotta era costituita da 5 elettromotrici di capacità 110 persone e costruzione SLM ad aderenza ovviamente mista, tre rimorchiate a giardiniera di impiego estivo, quattro carri merci ed una vettura di tipo tramviario. Quest’ultima, destinata all’esclusivo collegamento FS/Imbarcadero, ebbe in verità un utilizzo davvero breve. Il deposito era dislocato a Stresa e poteva accogliere l’intera dotazione.
L’elettromotrice n. 1 affronta un tratto ad aderenza artificiale. L’alta stagione ha richiesto l’impiego di un rimorchio a giardiniera. Sullo sfondo le isole Borromee. (coll. G. Fiorentino)
Per quanto riguarda l’esercizio ed i risultati economici, non si può certo dire che siano stati entusiasmanti. Diciamo che, quando si potevano incominciare a cogliere i primi frutti della propaganda a supporto della fase di avvio, scoppiò la prima guerra mondiale che, con i suoi lutti e difficoltà economiche, pose il settore turistico in secondo piano. Tra le due guerre le cose andarono un poco meglio anche grazie ad amministratori attenti ed oculati. Durante la seconda guerra mondiale, la montagna buona, offrì un sicuro rifugio a quanti scapparono dai bombardamenti sulle metropoli del nord. Di questo fenomeno godette anche la nostra ferrovia che lavorò a pieno ritmo per trasportare gli sfollati e ciò fino all’anno 1945 quando si conseguì il record imbattuto di circa 100.000 passeggeri annui.
Una prospettiva su un tratto particolarmente acclive ci consente di ben osservare la cremagliera Strub. (coll. G. Fiorentino)
Poi incominciò il solito declino dovuto alla diffusione della motorizzazione individuale, unita con scarsa o punto manutenzione della linea e degli impianti. Certo che la vicina Svizzera offriva in quegli anni tangibili esempi di gestione produttiva delle piccole ferrovie turistiche. Ma gli amministratori dell’epoca furono sordi e ciechi. Così nell’autunno del 1962, fu posta la parola fine alla Ferrovia Stresa Mottarone (FSM). Il materiale fu rottamato oppure qualcosa venduta a privati per usi diversi. Tutto ciò in concomitanza con la costruzione di impianti sciistici e strutture alberghiere dai notevoli investimenti finanziari. Davvero paradossale.
Ancora una elettromotrice, la n. 3, in vista della vetta con il Grand Hotel. Stavolta il rimorchio è costituito da un carro di servizio (coll. G. Fiorentino).
Foto aerea del terminale superiore con il piccolo ricovero per accogliere qualche elettromotrice durante le soste notturne e proteggerla dalle intemperie e dalle temperature rigide invernali (coll. G. Fiorentino).
Oggi la montagna sta sempre lì. Per arrivare in cima ci si può servire della strada provinciale detta Borromea oppure della teleferica la cui stazione di base si trova un po’ lontana dal centro di Stresa. Il tragitto viene coperto in 18 minuti. Alla sommità c’è l’interscambio con una seggiovia che arriva alla vera e propria vetta. Qualche vecchio e decrepito edificio, talvolta utilizzato per usi civili, ricorda qua e là l’effimera ma gloriosa epopea della Ferrovia Stresa Mottarone.
|
||||||||
|