La trazione
elettrica a filo - come veniva definita nel primo ventennio
del XX secolo - ebbe in Italia una discreta diffusione
(soprattutto nelle regioni del Nord), ma fu caratterizzata
da reti assai spesso effimere, la cui durata non superava i
quattro o cinque anni. Uniche eccezioni possono considerarsi
le filovie de L’Aquila (1909-1924), quella di Cuneo (che,
ammodernata, sarebbe arrivata al 1968!), la Alba - Barolo
(1910-1919) e la Ivrea-Cuorgné (1908-1935). La scarsa
diffusione e/o la breve durata degli impianti cosiddetti
“primordiali” ebbe molte cause, tra le quali certamente
anche le caratteristiche dei veicoli impiegati, che
assomigliavano quasi sempre a vecchi omnibus o diligenze del
passato, adattate alla loro nuova funzione.
Il modello
realizzato dalla S.T.E. (Società per la Trazione Elettrica)
per l’Esposizione Universale di Milano del 1906 “fece
scuola”, così come - per la captazione della corrente -
l’utilizzo dell’asta unica con carrello a quattro ruotine
“sistema Cantono-Frigerio”. Ora, i filobus della S.T.E. o
comunque ispirati a quel modello, presentavano (ma non erano
i soli all’epoca!) le ruote con gomme piene, le quali -
unendosi al fondo molte volte sconnesso delle strade
percorse dai filobus - rendevano assai poco gradevole il
viaggio in filobus, specialmente su lunghe distanze (es. la
Ivrea-Cuorgné superava i 24 km). Di qui la necessità di un
significativo ammodernamento.
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Filobus n. 4 della S.T.E. ripreso
durante l’Expo milanese del 1906. A questo
modello si ispirarono quasi tutte le vetture
messe in servizio in Italia negli anni
successivi.
(coll. C. Guastoni) |
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“La Fiat è stata la prima in
Italia a progettare e costruire filobus. Lo sviluppo preso dai
servizi filoviari è dovuto principalmente al progresso tecnico
realizzato dalla Fiat anche in questo campo”. Queste orgogliose
affermazioni aprono un fascicolo risalente al 1952 (“Le filovie
e la Fiat”) che (ovviamente) magnifica le realizzazioni della
Casa torinese nel settore filoviario. Ora, di queste asserzioni
è certamente vera la seconda, non la prima, visto che sappiamo
dell’esistenza delle filovie “primordiali”, le quali
cominciarono ad ammodernarsi - per quanto concerne la struttura
dei filobus - negli anni ‘20 del XX secolo. Esempio di tale
rinnovamento delle carrozzerie è certamente rappresentato da due
unità che - numerate 18-19 - assunsero servizio tra Ivrea e
Cuorgné nel 1928. Esse - pur mantenendo l’asta unica con
carrello per la captazione della corrente - presentavano una
diversa e più moderna forma, presumibilmente derivata dalle
“vetture automobili” che si andavano diffondendo in quel
periodo, ed erano dotate di pneumatici con camera d’aria. Al
1928 risalgono anche le sette vetture destinate alla città di
Vicenza costruite da Rognini & Balbo, la nota Ditta produttrice
di “elettromobili”, che già dal 1925 aveva trasformato proprio
tre autobus elettrici in filobus, inaugurando così la singolare
rete della città berica, i cui bifilari, nonostante la
captazione della corrente da due trolley distinti, presentava
una distanza tra i fili di 40 mm contro i 60 di tutte le altre
reti italiane, a cominciare da quella “ristrutturata” nel 1927 a
Desenzano del Garda, che - con la presenza di due filobus di
produzione inglese - deve considerarsi la prima filovia italiana
di seconda generazione.
Filobus n. 18 della Ivrea-Cuorgné
(coll. E. Champagne)
e vettura 33 vicentina della Rognini & Balbo
del
gruppo 31÷37
(Archivio A.I.M.-Vicenza).
Quest’ultima presenta già le ruote gemellate posteriori
che rendono più stabile il veicolo e più confortevole la marcia.
Se le cose stanno così, qual è il
primato rivendicato dalla Fiat? Potremmo dire, ma solo in parte,
che esso è costituito dall’abbinamento tra l’utilizzo di due
trolley separati (derivati dal “sistema Schiemann” e all’epoca
ormai ampiamente diffusi in area angloamericana) con una
carrozzeria effettivamente più “moderna” di quella dei veicoli
sino ad ora esaminati. Carrozzeria, però, che la Casa torinese
importò, unitamente alle parti meccanica ed elettrica, da
modelli statunitensi, come può intuire chiunque mettendo a
confronto un filobus americano e - ad esempio - uno dei tre
esemplari di FIAT 461 che inaugurarono quella che viene
considerata, dopo l’infausta chiusura di Desenzano, la prima
filovia di seconda generazione, la Torino - Cavoretto,
inaugurata a gennaio del 1931. Del resto, le prime vetture della
Casa torinese furono realizzate su licenza della General
Electric.
Le foto a confronto tra un filobus di Detroit
(da sito web)
e la vettura E1 della rete torinese
(Archivio GTT-TO)
dimostrano l’inequivocabile derivazione dei veicoli FIAT da
quelli statunitensi.
Lunghi m. 7,85, gli
“elettrobus” torinesi (non a caso immatricolati E1÷E3) erano
dotati di due motori uniti in un’unica carcassa del tipo CGE
1126 (2 x 35 HP) con avviatore PCM di derivazione tranviaria. Il
moto era trasmesso al ponte posteriore da un albero tubolare
provvisto di giunti cardanici. Inoltre, i FIAT 461 erano dotati,
come gli autobus, di differenziale. Costruiti con la tecnica
della struttura portante (!), i 461 si presentavano con un
frontale piatto sul quale spiccavano due grossi proiettori, ma
l’elemento più vistoso era certamente costituito da un’ampia
visiera (letteralmente “copiata” dai filobus statunitensi) che
avvolgeva tutto il frontale. Di derivazione americana anche la
guida a sinistra e la presenza di due porte a quattro antine
alle estremità del rotabile. E nei 461 (come nei 467) si saliva
dalla porta anteriore e si scendeva da quella posteriore,
quest’ultima comandata dal bigliettaio che si trovava a metà
vettura. Identici esteticamente, meccanicamente ed
elettricamente (e persino classificati anch’essi E1÷E3) i tre
coevi FIAT 467 che furono realizzati per la rete di Cuneo.
Unica, ma assai significativa, differenza la perdurante presenza
del trolley unico con carrello.
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Vettura E2 della rete di Cuneo
(coll. P. Gregoris),
in tutto simile alle consorelle torinesi, salvo
che per il trolley unico con carrello a quattro
ruotine.
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Gli ultimi filobus della prima
fase produttiva della FIAT sono i 488 che nel 1933 inaugurarono
la rete filoviaria di Venezia Mestre. Numerati 10÷32, furono i
primi a percorrere il ponte Littorio con la loro inconfondibile
livrea avorio. Più lunghi di 461 e 467 (m 8,50), erano però
anch’essi caratterizzati da struttura metallica in lega di
alluminio, guida a sinistra e due porte estreme (qui però a due
ante). Anche dal punto di vista elettrico i 488 erano
assimilabili alle vetture di Torino e di Cuneo, tranne un solo
esemplare, quello che sarebbe stato numerato 30 dalla Società
Filovie di Mestre (S.F.M., controllata peraltro proprio da FIAT
attraverso la S.T.U., Società Trasporti Urbani), dotato di
equipaggiamento elettrico e motore Marelli. Né va dimenticata,
infine, l’esistenza di un ulteriore FIAT 488, presente in via
sperimentale a Milano nel 1933, mai acquisito però al parco
dell’A.T.M. milanese e da questa classificato 1 nel periodo di
permanenza nel capoluogo lombardo. Era uno degli esemplari poi
finiti a Mestre? Fu restituito alla FIAT? Rispondere a questa
domanda oggi ci sembra purtroppo impossibile …
Vista laterale della vettura n. 30 della Venezia-Mestre
(Catalogo Marelli)
e,
a destra, foto aziendale del filobus sperimentale
n. 1 dell’A.T.M. di Milano.
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Alla prima produzione FIAT vanno
ascritti anche i cinque filobus che inaugurarono nel 1935 la
rete di Trieste, benché “ufficialmente” realizzati dalla OM (che
però dal 1933 faceva ormai parte del gruppo FIAT); erano
carrozzati da Miani & Silvestri ed equipaggiati elettricamente
da Marelli. Allo stato d’origine, questi filobus, classificati 601÷605,
presentavano (non diversamente da FIAT 461, FIAT 467 e FIAT 488)
frontale piatto, guida a sinistra e porte estreme. Ed anch’essi
esibivano un parasole che “avvolgeva” l’intero parabrezza.
Purtroppo, nel dopoguerra, subirono pesanti modifiche
soprattutto nel frontale, che divenne spigoloso ed aggettante;
anzi: vennero anche eliminati i finestrini curvi di raccordo con
le fiancate e creati due ampi vetri frontali, che peggiorarono
molto l’estetica complessiva delle vetture. Il gruppo fu radiato
nel 1952.
Immagini a confronto di un filobus torinese fotografato a Ponte
del Gatto
(coll. A. Cozzolino)
e della vettura triestina 601 (OM-Miani & Silvestri) allo stato
d’origine
(Archivio ATC):
inequivocabile la somiglianza dei due veicoli!!!!
Dopo le modifiche operate dall’allora ACEGAT
(coll. A.
Cozzolino - Archivio ATC)
le vetture OM mostrano il loro palese imbruttimento!!! |