Tra le sette della Campania (ivi compresa quella
non più esistente del Vesuvio) la funicolare di Montevergine
presenta le caratteristiche più accentuate: vanta infatti la
maggiore lunghezza sull’inclinata ed il maggior dislivello tra le
due stazioni estreme; quanto poi a pendenza è addirittura la seconda
in Europa! Essa collega il famoso santuario benedettino, posto
proprio sotto la vetta del Monte Vergine (m. 1493), con Mercogliano,
un ridente centro incastonato nel verde del Partenio e distante da
Avellino soltanto qualche chilometro.
Il
Santuario di Montevergine, importante centro di vita monastica
benedettina, fu fondato nel 1119 da San Guglielmo da Vercelli, il
quale costruì lassù una chiesetta consacrata a Maria sulla base di
un tempio pagano dedicato alla dea Cibele. Sull’altare maggiore
della basilica è esposta
la Madonna
di Montevergine, detta anche la “Madonna Bruna” e, ancora più
popolarmente, “Mamma Schiavona”, un dipinto attribuito a Pietro
Cavallini oggetto di particolare venerazione da parte di tantissimi
fedeli.
Il santuario fin dalle sue origini è stato sempre
meta di pellegrinaggi: era ancora vivente San Guglielmo e già
moltitudini di devoti raggiungevano il tempio per invocare la
misericordia di Dio ed il perdono dei peccati: i pellegrini, spesso
anche a piedi nudi, percorrevano sentieri tracciati attraverso gole
impervie che presentavano difficoltà di ogni genere come il pericolo
di improvvisi acquazzoni e di rovinose cadute recitando preghiere o
cantando inni sacri.
Il Santuario di Montevergine eretto a quota metri 1493. Nel
riquadro l'immagine della Madonna Bruna
denominata dai fedeli anche "Mamma Schiavona" (coll. A.
Cozzolino).
La costruzione di una strada
rotabile, finanziata in parte anche con il ricavato di questue
effettuate dai benedettini, ebbe inizio soltanto nel 1851. I lavori,
di difficile esecuzione per l’aspra natura dei luoghi, procedettero
con lentezza e si bloccarono addirittura, quando si era giunti alla
metà del tracciato in progetto, nel 1860, allorché, con la caduta
del Regno delle Due Sicilie, venne a mancare il contributo che i
Borbone fino ad allora avevano assicurato per cui per vari anni i
pellegrini poterono giungere su carri e carrozze fin dove finiva la
strada per poi proseguire a piedi:
quivi
ad ogni buon conto era sorto un posteggio dove stazionavano i
mulattieri i quali, a pagamento, trasportavano fino al Santuario i
bambini sistemandoli a due o a tre alla volta sul dorso di un mulo
riservando le selle alle donne; tuttavia erano ancora in tanti
coloro che preferivano compiere interamente a piedi la più
penitenziale e, perché no, suggestiva scalata nel verde.
Il ritorno da Montevergine in una cartolina
pittorica di A. Della Valle (coll. A. Gamboni).
Si notino la particolare acconciatura dei cavalli
e delle "Maestre" le quali organizzavano il pellegrinaggio per il
Santuario
.
Fu così che intorno al 1880
l’abate mons. Guglielmo De Cesare maturò l’idea di una tramvia a
vapore che, sviluppandosi lungo i fianchi del monte, avrebbe potuto
raggiungere il piazzale antistante il tempio, rendendo la salita
agevole, se non addirittura piacevole, alle migliaia di devoti che
ogni anno si portavano fin lassù
per
venerare la sacra immagine della Madonna
Bruna. Egli si rivolse allora al barone Oscar Du Mesnil molto noto e
stimato a Napoli.
L’ingegnere belga studiò attentamente le
caratteristiche dei luoghi e giunse alla conclusione che non
sussistevano le condizioni per la realizzazione di una tranvia a
vapore: per difficoltà di carattere orografico e per problemi
tecnici il costo dell’impianto sarebbe risultato particolarmente
oneroso, per cui consigliò una più conveniente via ferrata a
trazione funicolare realizzabile tra il complesso monastico ed il
sottostante abitato di Mercogliano. L’idea piacque ai monaci: la
funicolare avrebbe avuto inizio presso il ponte di Donn’Orsola a
Mercogliano e termine presso l’Ospizio Vecchio all’altezza del
Santuario.
Il primo tornante della strada che da Mercogliano conduce a
Montevergine (coll. A. Gamboni).
Pareva che il sogno dell’abate benedettino stesse
per realizzarsi, ma la gestazione della funicolare di Montervergine
si sarebbe rivelata lunga e particolarmente difficile. Il 17 gennaio
1884 mons. De Cesare morì e a lui subentrò mons. Vittore Corvaia. Il
nuovo abate, anch’egli convinto assertore dell’utilità della
ferrovia funicolare, continuò l’opera del predecessore e il 10
novembre 1884 ottenne dal Ministero dei Lavori Pubblici
l’approvazione del progetto presentato e la concessione per la
costruzione e per l’esercizio dell’impianto; quindi all’inizio
dell’anno seguente stipulò il contratto di subconcessione con il
barone Du Mesnil. Questi, però, ammalatosi, fu costretto a tornare
in Belgio dove poco dopo passò a miglior vita: il miraggio della
funicolare sembrò svanire definitivamente!
Passarono molti anni. Nel 1906 mons. Vittore
Corvaia si dimise dalla carica di abate e gli subentrò nel ruolo
mons. Carlo Gregorio Grasso. Tre anni più tardi fu ripreso il
discorso funicolare e fu dato incarico all’ing. Lanino di redigere
un nuovo progetto che fu poi accolto favorevolmente
dall’Amministrazione Provinciale, dalla Camera di Commercio, dal
Comune di Avellino e dal Ministero dei Trasporti ottenendo anche un
finanziamento dal Governo. L’abate Grasso, anch’egli convinto
dell’indispensabilità di tale mezzo di trasporto, appoggiò il nuovo
progetto ma anche stavolta gli entusiasmi e le attese generali
vennero gelati: lo scoppio della Grande Guerra, con la chiamata alle
armi dei giovani e con tutte le varie problematiche connesse a tale
tragedia, faceva ormai apparire quello della funicolare un argomento
futile da rinviare, caso mai, a tempi migliori.
Nel 1918, quando si era appena concluso il
conflitto, al vertice della comunità benedettina venne insediato don
Ramiro Marcone, benedettino originario della provincia di Caserta
appena trentaseienne. Già cappellano militare al fronte, il nuovo
abate, entusiasta dell’idea della funicolare, si attivò pertanto
dinamicamente per il compimento dell’opera e fu proprio lui a
promuovere una società per azioni denominata ‘Partenion’, una
ragione sociale pienamente rispondente agli scopi che egli si
proponeva di raggiungere: la valorizzazione, cioè, delle amene
bellezze che la natura aveva profuso sul Partenio mediante la
costruzione di alberghi, pensioni, villini da far sorgere sulle
pendici boscose o sugli altipiani del monte, sì da renderlo una
stazione climatica montana di prim’ordine.
La Societa
‘Partenion’ emise duemila azioni da 100 lire ciascuna che avrebbero
costituito il capitale sociale, quindi rilevò il progetto Lanino con
la concessione governativa per la costruzione e per l’esercizio
della funicolare nonché i relativi contributi deliberati a norma di
legge ed incaricò l’ing. Vito Margotta di procedere all’elaborazione
definitiva del progetto.
L’ing.
Margotta il quale, da buon irpino, accettato l’incarico a titolo
gratuito, modificò in parte l’elaborato del suo predecessore
eliminando tutte le curve e modificando le pendenze delle livellette;
inoltre portò la stazione inferiore dal ponte Donn’Orsola, ove la
strada era in curva, al Viale San Modestino che, per i suoi ampi
spazi meglio si prestava ad accogliere i costruendi edifici
dell’impianto ferroviario. Affidata la direzione tecnica dei lavori
all’ing. G. Iacuzio, il quale come il collega Margotta rinunciò a
qualsiasi compenso per l’opera che avrebbe prestato, la Società
‘Partenion’ ottenne dai Comuni di Avellino e di Mercogliano i suoli
sui quali realizzare la sede della funicolare. Il 10 febbraio 1923,
poi, il Ministero dei Lavori pubblici approvò il progetto esecutivo
relativo alla sede stradale ed al fabbricato della funicolare e
concesse l’autorizzazione ad eseguire le opere previste.
Mercogliano: il Viale San Modestino, lungo il quale, sfruttando
un ampio spazio,
sarà costruita la stazione a valle della funicolare (coll. A.
Gamboni).
Frontespizio dell'opuscolo stampato
nel 1923
(da Ogliari: Terra di Primati). |
Finalmente arrivò il fausto giorno (almeno così
pareva): il 25 aprile 1925 ebbe luogo la tanto attesa cerimonia
dell’inizio dei lavori con la posa della prima pietra della
funicolare di Montevergine. La partecipazione del pubblico accorso
anche dalle zone circostanti fu notevole ed entusiastica e dopo la
celebrazione della messa all’aperto, mentre un festoso scoppio di
mine echeggiava tra le montagne, l’abate Ramiro Marcone, con voce
rotta dall’emozione, ricordò le vicissitudini di un progetto nato
quarantatré anni prima e l’impegno di quanti in questo lungo arco di
tempo si erano adoperati per la realizzazione dell’impianto. Seguì
poi il discorso celebrativo da parte di un deputato locale il quale
preannunciò che l’inaugurazione della funicolare sarebbe avvenuta
nel 1927 il giorno 1° settembre, festa della Madonna di Montevergine.
I lavori cominciarono subito: si iniziò a
costruire la stazione di Mercogliano, un’elegante edificio con
avancorpo, a due piani, si prese poi a scavare sul fianco della
montagna, nella dura roccia, il varco in cui sarebbe stato adagiato
il tracciato della funicolare, venne realizzata una galleria lunga m
200, furono costruiti quattro viadotti e aperti vari tratti di
trincea. In una ventata di euforia il CdA fissò anche il prezzo del
biglietto: lire 10 per il biglietto di andata e ritorno ...
|
Iniziati di buona lena, i lavori si rivelarono
ben presto più difficoltosi del previsto: la roccia calcarea,
durissima, attaccata con i mezzi dell’epoca, rendeva estremamente
faticosa l’opera degli spaccapietre i quali, tra l’altro, si
trovavano ad agire su un pendio quanto mai ripido e quindi molto
pericoloso, in una temperatura che nei mesi invernali raggiungeva
valori bassissimi sotto le abbondanti piogge particolarmente
frequenti nella verde Irpinia; a ciò bisognava poi aggiungere la
difficoltà degli approvvigionamenti considerato che tutto doveva
essere trasportato a dorso di mulo.
Ma non
era finita: malgrado una apposita campagna pubblicitaria, la
sottoscrizione lanciata dalla ‘Partenion’ non era andata come si
sperava perché le azioni erano rimaste in gran parte invendute
cosicché ad esaurimento dei fondi messi a disposizione dall’abate,
la Società
dovette dichiarare fallimento per cui i lavori furono immediatamente
sospesi. Intervenne allora l’avv. Alberto D’Angelillo, vecchio amico
di Ramiro Marcone, il quale acquistò tutte le azioni rimaste
invendute consegnandole poi all’abate stesso. Si costituì allora,
nel 1929, con alla presidenza lo stesso avv. D’Angelillo, la Società Anonima
Immobiliare Irpina (S.A.I.I.).
La nuova Società ottenne, con Regio Decreto 17
luglio 1931, la concessione per la costruzione e per l’esercizio per
cinquant’anni della ferrovia funicolare da Mercogliano al Santuario
di Montevergine. In quello stesso anno venne finalmente completata
la strada carrozzabile, il che permetteva ora ai pellegrini di
compiere l’ascesa completa in carrozzella o su carretti.
I lavori di costruzione ripresero con lena ed
erano quasi ultimati allorché una grande tragedia si abbatté
sull’umanità: la seconda guerra mondiale con i suoi milioni di
vittime; della funicolare, ovviamente, non si parlò più. Se ne
riparlò nei primi anni ‘50 allorché ferveva l’opera di ricostruzione
del Paese uscito semidistrutto dal conflitto.
Finita
la guerra in Italia, dunque, la vita lentamente riprese. Lasciati
alle spalle anni di privazioni e di paura, esplose la voglia di
vivere e di divertirsi. In questo particolare stato d’animo di gran
parte del popolo, il pellegrinaggio a Montevergine perse quel
carattere mistico che lo aveva fino ad allora caratterizzato e,
anche se nel Santuario poteva ancora capitare di assistere a riti
arcaici come quello, per grazia ricevuta, di strisciare con la
lingua su tutto il pavimento della chiesa dall’ingresso all’altare
maggiore e viceversa in retromarcia (era questo un voto compiuto per
lo più da popolane), era divenuto per i più l’occasione per una
scampagnata, assumendo addirittura i contorni di una sagra
itinerante, non scevra di cattivo gusto. Nel tempo, però, il tenore
di vita generale più elevato, una maggiore consapevolezza in materia
di fede con la relativa scomparsa di pratiche penitenziali e
superstiziose, la diffusione dei pullman turistici e delle auto e,
più tardi, la realizzazione della funicolare che in 7’
avrebbe trasportato i fedeli da Mercogliano al Santuario cambiarono
profondamente le abitudini popolari e il pellegrinaggio a
Montevergine, non più spettacolare e folkloristico come una volta, è
ora certamente più genuino.
Passata dunque la tempesta, a Montevergine si
tornò a pensare alla funicolare. Il promotore della ripresa del
progetto fu ancora lui, don Ramiro Marcone: l’abate aveva ormai
varcato la settantina, ma la sua tenacia e la sua volontà erano
rimaste immutate. Egli si mise in contatto con il conte di Cervinia
ing. Dino Lora Totino di Torino, tecnico espertissimo in materia di
trasporti a fune quindi riuscì a far ottenere alla Società Anonima
Immobiliare Irpina, da parte dell’Isveimer, un mutuo da 200 milioni
da pagare in 20 anni al tasso del 3,5%. Per l’abate sarebbe stata la
realizzazione di un sogno che pareva destinato a rimaner tale, ma il
destino, crudele, non volle. Ramiro Marcone, pur non versando in
buone condizioni fisiche, partì per Roma dove il 4 luglio avrebbe
dovuto apporre la propria firma in calce al contratto definitivo per
il completamento dei lavori della funicolare, ma egli non giunse
nella capitale: lungo il viaggio, le sue condizioni si aggravarono e
morì il 10 luglio 1952 senza aver potuto veder in funzione la ‘sua’
funicolare per la quale si era battuto per tanti anni contro
avversità di ogni genere.
Nel 1953 l’ing. Lora Totino rilevo il 51% delle
azioni lasciando il 49% alla Società Immobiliare Irpina e cioè
all’Abbazia di Montevergine. Intanto i lavori procedettero
alacremente: nel 1954 fu completata la stazione terminale superiore
di Montevergine con la relativa sala macchine e furono ultimati
cinque viadotti che permettevano il superamento di altrettanti
avvallamenti presenti sulle pendici del monte.
Pochi mesi più tardi, il 23
giugno di quello stesso anno, la funicolare di Montevergine venne
finalmente inaugurata con una solenne cerimonia. Fu così Ludovico
Anselmo Tranfaglia, il nuovo abate di
Montevergine, a benedire quella funicolare che il suo predecessore
Ramiro Marcone aveva sperato per tanti anni di poter fare!
La stazione a valle della funicolare, e ... il punto d'incrocio
delle vetture in livrea bianca e verde (coll. A. Cozzolino).
La stazione superiore della funicolare. Si noti il repentino
cambio di livelletta poco prima del termine della linea (coll. A.
Cozzolino).
Le
vetture della funicolare, in livrea bianca e verde, con i loro
finestrini quadrati disposti a scala in corrispondenza dei singoli
moduli, presero dunque a salire e a scendere lungo l’erta portando i
pellegrini, comodamente seduti, fino al piazzale del tempio in
appena 7’,
ma il numero dei trasportati si manteneva al disotto delle
aspettative: erano infatti in molti, impressionati da quella forte
pendenza, a preferire il torpedone o, addirittura, la faticosa
salita a piedi.
Il 22 ottobre 1966 il servizio venne sospeso:
occorreva revisionare le parti meccaniche dell’impianto ed i
circuiti elettrici e sostituire la fune di trazione. In questa
occasione cambiò anche la tinteggiatura delle vetture che assunsero
i colori giallo all’altezza della finestratura e rosso nella parte
inferiore separati da una striscia azzurra in corrispondenza del
coprigiunto.
Le vetture nella nuova livrea avorio e rosso, e ... la stazione
a valle della funicolare (coll. A. Cozzolino).
La ripresa dell’esercizio avvenne il 23 aprile
dell’anno successivo ma nere nuvole ormai si addensavano
sull’esistenza della funicolare: i notevoli costi della manutenzione
non venivano coperti dai magri incassi. Il 29 settembre 1970 un
fatto significativo: il conte ing. Dino Lora Totino, il quale aveva
evidentemente fiutato … l’aria infida, vendette il suo 51% di azioni
all’Abbazia la quale si ritrovò, pertanto, esclusiva proprietaria
della Società Immobiliare Irpina. Benché fosse di costruzione
abbastanza recente, l’impianto cominciò ben presto a mostrare
preoccupanti segni di degrado nella struttura in cemento armato dei
cinque viadotti esistenti sulla linea. Questi presentavano infatti
ampie lesioni provocate dal ghiacciarsi dell’acqua piovana
infiltrantesi nelle strutture stesse. Sarebbero stati dunque
necessari urgenti lavori di rinforzo ma il costo preventivato era
eccessivo per le possibilità economiche della Società; pertanto il
Ministero dei Trasporti dispose in data 31 ottobre 1973 la chiusura
della funicolare istituendo per il collegamento del Santuario con
Mercogliano il servizio su gomma effettuato da una coppia
giornaliera di autobus dell’I.N.T. (Istituto Nazionale Trasporti).
Fu proprio in questo periodo, per la precisione il giorno 1°
novembre 1974, che l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla venne a
Mercogliano con alcuni prelati polacchi per compiere una visita al
Santuario di Montevergine ma, non essendo in funzione la funicolare,
il futuro Papa Giovanni Paolo II e il suo seguito dovettero compiere
la lunga ascesa in auto.
Passò il
tempo e le stazioni, abbandonate a se stesse, si ridussero in uno
stato pietoso, le carrozze vennero attaccate dalla ruggine e la sede
stradale sommersa dalle erbacce. Stavolta pareva proprio finita per
la funicolare di Montevergine, ma la Regione
Campania era
interessata al recupero di questa preziosa infrastruttura e, con
delibera del 15 gennaio 1976, approvò un progetto, per l’importo di
circa 400 milioni, già esaminato sotto il profilo tecnico e
trasmesso al Ministero dei Trasporti per il parere di competenza
sulla rispondenza alle vigenti norme di sicurezza, per
l’effettuazione degli urgenti lavori di rinforzo di quelle
strutture. Venne inoltre deliberata la cessione temporanea del
servizio, sotto forma di locazione, alla Gestione Commissariale
Regionale della filovia Atripalda – Avellino – Mercogliano fino alla
scadenza della concessione che la S.I.I.
deteneva dal 1931. La convenzione fu sottoscritta dall’avv. Aristide
Savigliano presidente della Società benedettina e dall’ing. Manlio
Jovinelli, commissario della gestione
della suddetta filovia.
I lavori riguardarono il risanamento dei cinque
viadotti, la rettifica del binario, la sostituzione della fune di
traino, la revisione dell’argano e degli apparati motori nonché
delle apparecchiature frenanti secondo le norme di sicurezza
impartite dalla CEE oltre alla revisione delle due carrozze che
nell’occasione ricevettero una vistosa livrea arancio ministeriale
con fascia orizzontale blu in corrispondenza del coprigiunto. La
funicolare riaprì all’esercizio il 23 maggio 1981, ossia dopo ben
sette anni e cinque mesi di chiusura, con la benedizione dell’abate
Tommaso Agostino Gubitosa. A Mercogliano, dove accorsero autorità,
giornalisti e tanta gente, fu festa grande.
Due mesi più tardi, alla
scadenza della concessione avvenuta il 17 luglio 1981, la Regione
Campania
riscattò l’impianto e il 23 aprile 1983 liquidò
la Società
benedettina per la somma di 978 milioni di lire, vale a dire per un
valore stimato di 2 miliardi e 525 milioni detratte le spese per i
lavori effettuati per 1 miliardo e 547 milioni, somma che i monaci
impiegarono nella ristrutturazione dell’Orfanotrofio ‘Maria
Santissima di Montevergine’ fondato a Mercogliano dall’abate Ramiro
Marcone.
Nel 1985 la funicolare chiuse
nuovamente: stavolta, però, per l’ammodernamento dell’intero
impianto. Dal 28 ottobre al 3 luglio 1987 ebbero luogo infatti,
eseguiti dalla ditta Ceretti e Tanfani di Milano, i lavori per la
trasformazione delle apparecchiature di comando da elettromeccaniche
ad elettroniche. Seguì una breve riapertura dell’esercizio fino
all’inverno del 1988 allorché iniziarono i lavori per il
rinnovamento dell’armamento e per la sostituzione della fune e delle
ormai anziane vetture. Nell’occasione lungo la sede stradale fu
impiantata una serie di lampioni che nottetempo illuminano il
tracciato segnalandolo a chi percorre l’autostrada con effetto molto
suggestivo ma, probabilmente, poco gradito alla fauna locale
costretta ad una innaturale continua illuminazione del proprio
ambiente. Il servizio, completati tutti i lavori di ammodernamento,
riprese il 30 ottobre
1989, stavolta senza alcuna
inaugurazione ufficiale.
L'attuale stazione della funicolare, e ... una vettura nella
nuova livrea bianca (foto A. Gamboni).
Costruite dalla O.Pre di Cercola, la stessa
industria che un paio di anni più tardi realizzerà quelle della
funicolare di Mergellina, le nuove vetture dalla livrea bianco
latte, differiscono alquanto da quelle che le avevano precedute:
sono infatti a due assi invece che a carrelli, sono lievemente più
lunghe e dispongono di un maggior numero di posti a sedere, ma la
loro caratteristica più evidente è l’ampia finestratura a vetri
panoramica che permette ai viaggiatori di godersi lo spettacolo
della natura. Esse furono messe a binario, calandole a mezzo di un
carro gru da un ponte stradale che scavalca perpendicolarmente la
linea nella sua parte bassa.
E le vecchie carrozze? Hanno subìto la sorte
comune ai rotabili dismessi: accantonate sul piazzale del deposito
delle Autolinee Avellinesi sono esposte alle offese delle
intemperie. Una delle due potrebbe trovar posto in un eventuale
museo regionale dei trasporti urbani, si pensò; ma le due carrozze,
rimaste colà ad arrugginire inesorabilmente, sono ormai in attesa
dell’inevitabile demolizione.
Le vecchie carrozze accantonate nel piazzale del Deposito delle
Autolinee Avellinesi (foto A. Gamboni).
|