Dobbiamo all’Avv. Ottavio
Serena, Regio Commissario Straordinario del Comune di Napoli
dal 1° aprile al 24 agosto del 1896, l’introduzione della
trazione elettrica. Egli, resosi conto che il tram a vapore
sulla linea Museo-Torretta presentava molte limitazioni a
causa della cremagliera sul tratto Museo-Salvator Rosa, ma
soprattutto per l’inquinamento in ambiente urbano dovuto ai
fumi delle locomotive, autorizzò la Société Anonyme des
Tramways Napolitains a cominciare i lavori di
elettrificazione della linea e la costruzione, sempre a
trazione elettrica, di una diramazione che da Piazza
Salvator Rosa avrebbe condotto al Vomero. Il contratto per
la realizzazione delle due linee elettrificate fu
sottoscritto, tra la belga S.A.T.N. ed il Municipio di
Napoli, il 31 dicembre del 1898 dinanzi al notaio Luigi
Tavassi.
La trazione elettrica viene
inaugurata - dunque - durante il mese di marzo 1899, in due
tranches: il primo marzo, infatti, la linea
elettrificata piazza Dante-Torretta manda in pensione la
trazione a vapore; il giorno venticinque, poi, è la volta
della sua diramazione per il Vomero: la linea utilizzava
l’antica strada della Cerra per raggiungere il “villaggio”
di Antignano e di qui piazza Vanvitelli, il centro del nuovo
rione creato attorno alle funicolari di Chiaja e di
Montesanto grazie agli investimenti della Banca Tiberina.
Se a lungo ci siamo soffermati
- in altro articolo pubblicato su questo stesso sito
(Dicembre 2011) - sulle linee dirette da centro cittadino al
Vomero, ci sembra giusto, invece, indugiare qui sulla linea
del Corso, che già aveva costituito un unicum,
essendo stata esercitata, come si è detto, con trazione a
vapore dal 1888 al 1899! Era stata la tedesca Esslingen a
realizzare questo singolare tracciato e a fornire, nel
tempo, tre locomotive da tram alla S.A.T.N. fornite della
cremagliera necessaria a superare l’acclività di via
Salvator Rosa. |
La Museo-Torretta, prolungata a piazza Dante poco dopo
l’elettrificazione, percorreva per intero la più lunga
strada di Napoli, quel Corso Vittorio Emanuele che congiunge
piazza Mazzini con le adiacenze di Mergellina. Anzi: il tram
indicato dapprima con la lettera H e poi numerato 6
nell’elencazione delle linee urbane di Napoli (conservando
questo numero fino alla sua soppressione), raggiungerà ben
presto proprio la rotonda di Mergellina, affiancandosi nel
capolinea ad un’altra tramvia fondamentale dell’economia dei
servizi su rotaia napoletani, quel 3 che univa Mergellina
appunto con piazza Carlo III attraversando tutto il centro
cittadino da ovest ad est.
Il percorso della 6 rimase in realtà invariato per
lunghissimi anni nei quali la linea venne servita sempre e
soltanto da tram a due assi di vario tipo (soprattutto
vetture “belghe”). Ma, al momento dell’inaugurazione, per
esercitare le prime due linee ‘elettriche’, la S.A.T.N.
aveva acquistato trenta elettromotrici e venti rimorchiate.
Delle prime motrici napoletane sappiamo che erano in parte
di tipo chiuso e in parte “giardiniera”. Dalle immagini si
può dedurre - a meno che i tram aperti e quelli chiusi non
avessero una numerazione promiscua - che chiuse erano le
vetture 1÷16, aperte quelle numerate da 17 a 30.
Per la costruzione delle motrici di tipo “chiuso” la
S.A.T.N. si rivolse alla torinese Diatto-Benvenuti che
approntò gli esemplari richiesti nello stabilimento
napoletano sito nella zona compresa fra il Vasto e
Poggioreale. Costruite su truck Brill 21E, successivamente
adottato per quasi tutte le motrici napoletane,
bidirezionali e dotate di motore G.E. 57 da 100 HP di
potenza, le Diatto erano inizialmente dotate di piattaforme
aperte, che verranno chiuse solo dopo il cosiddetto
“sciopero dei tramvieri”; il compartimento viaggiatori,
fornito di due panche longitudinali affrontate, era separato
dalle piattaforme con una paretina in legno. Le Diatto erano
dotate di un freno a pattini, meccanico, azionato tramite un
apposito “volantino” situato alla sinistra del manovratore:
sia il “volantino” che i relativi alberi di trasmissione
sporgevano esternamente alla cassa (dipinta in
giallo/rosso), così come la manovella del controller.
Quanto alle motrici “Giardiniera”, non ne conosciamo il
costruttore: si potrebbe supporre che fosse la stessa
Diatto, dato che dall’esame fotografico sembrano uguali le
disposizioni di freno e controller, e che uguali erano il
motore e l’equipaggiamento elettrico. Nelle giardiniere,
probabilmente rimaste in legno lucidato e non verniciate, le
piattaforme erano completamente separate dal compartimento
viaggiatori, dotato di sette panche trasversali, cui si
accedeva lateralmente grazie ad appositi predellini in legno
che affiancavano la vettura per tutta la sua lunghezza.
Appartengono alla prima dotazione delle tramvie elettriche
S.A.T.N. anche venti rimorchiate che vennero appositamente
ordinate dalla “Belga” (non a caso definite ‘Vomero e
Corso’) e che, immatricolate dapprima 261÷280 a seguito dei
tram a cavalli, vennero in seguito (come del resto tutte le
carrozze già esistenti) modificate con l’aggiunta del
prefisso “1”. Di tipo aperto, non differivano molto dalle
coeve motrici Giardiniera.
Ma torniamo alla linea 6: come detto, fu forse la tramvia
che meno di ogni altra si segnala per variazioni percorsive,
al punto che non ci resta che ricordarne la data di
soppressione, avvenuta il 2 ottobre 1950, in quel momento
del dopoguerra nel quale i tram cedettero in gran numero il
passo ad autolinee. Venne sostituita dalla 118, che estese
il suo percorso da piazza Dante a piazza Matteotti. Ed ancor
oggi esiste un’autolinea, denominata C16, che percorre per
intero Corso Vittorio Emanuele partendo da Mergellina, ma
compiendo un percorso circolare che la indirizza da piazza
Mazzini verso via Salvator Rosa, via Imbriani, piazza
Canneto, per poi raggiungere ancora piazza Mazzini e
ripercorrere il Corso … |