Nel 1938 l’Ente Autonomo Volturno (E.A.V.),
all’epoca gestore del “servizio autotramviario” del Comune
di Napoli affidò alla Società M.A.T.E.R. (Motori Alternatori
Trasformatori Elettrici - Roma), che delle motrici
napoletane curava già la manutenzione, la ricostruzione di
undici tram (un prototipo + dieci vetture “di serie”)
provenienti dal gruppo delle cosiddette “O.F.M. 1912”
costituito da sessanta unità classificate 501÷560. Queste
carrozze, dotate di truck Brill 21E allungato a 2000 mm,
avevano mostrato, nel tempo, moltissimi difetti, in buona
parte derivanti dallo squilibrio tra la lunghezza del truck
e quella complessiva della vettura. A seguito di tali
carenze, già nel 1935 risultavano radiati dal parco ben 29
esemplari.
L’E.A.V. decise allora di recuperare almeno
qualche tram di quel gruppo ristrutturandolo del tutto,
anche se conservando la cassa in legno. I ‘nuovi’ tram (che
vennero numerati 351÷361) si presentavano, in realtà, molto
meno lunghi (adeguati finalmente al truck!) ed esibivano un
disegno assai simile a quello che ormai da dieci anni era
stato adottato dall’Azienda napoletana per tutte le vetture
ricostruite: sei moduli laterali e quattro frontali,
abolizione dei lucernari, accessi protetti da cancelletti,
allestimento interno con sedili affrontati disposti in file
di 2 + 1 per un totale di 18 posti a sedere.
Ma la vera novità delle “MATER ricostruite”
fu la fortunatissima adozione di due motori CGE CT139K
(potenza complessiva 116 HP) che da un lato consentì
l’utilizzo dei tram restaurati anche su percorsi acclivi,
dall’altro costituì un incredibile volano per attrarre
moltissimi altri esemplari verso questa nuova, ma
validissima motorizzazione. Sicché, agli ulteriori dieci
tram costruiti nel 1940 dalla MATER (362÷371), nel
dopoguerra si aggiunsero ben 99 vetture provenienti da
diverse altre serie, che andarono a costituire il
maxi-gruppo 279÷398.
Durante la guerra, purtroppo, tre vetture
MATER (358-360-362) furono danneggiate in maniera
irreparabile, mentre gli altri tram “ex-500” continuarono il
loro lavoro in genere fino alla metà degli anni ’50 del XX
secolo, riducendosi progressivamente di numero fino al 1960,
come dallo specchietto che segue. |
GALLERIA
FOTOGRAFICA
Dall’alto in
basso e da sinistra a destra: la vettura 519
allo stato d’origine (coll. G. Litigio) e lo
stesso tram (si fa per dire!) dopo la
ricostruzione MATER e la rinumerazione come 353
(coll. A. Cozzolino); la motrice n. 364, che nel
dopoguerra venne ulteriormente ristrutturata
dalle maestranze del deposito “Garittone”
(Archivio Carbone, coll. A. Cozzolino) e,
infine, il tram n. 363, uno dei più longevi,
ritratto al Corso Amedeo di Savoia al capolinea
della tramvia 61 (coll. Marzorati). |
|