Per molti secoli
la Penisola Sorrentina ha sofferto dell’isolamento dovuto alla mancanza di
strade dirette che la collegassero con Napoli o, almeno, con le località dalle
quali si poteva poi, come da Castellammare, raggiungere con altri mezzi il
capoluogo. Solo nel 1843, infatti, per interessamento di Ferdinando II di
Borbone, cominciarono i lavori per la costruzione di quella che oggi, ampliata,
ma sempre sul tracciato originario, è la SS 145, appunto la “Sorrentina”. Si
può intuire perciò quanto interesse le popolazioni locali abbiano sempre
manifestato per l’istituzione di un rapido mezzo di trasporto collettivo che
potesse costituire una valida alternativa a quello marittimo.
Non meraviglia
perciò che nel 1885, per iniziativa dei singoli Comuni, si formò un Consorzio
che accettò la proposta dell’industriale francese Giuseppe Haour, il quale
intendeva costruire una linea tramviaria che collegasse appunto la Penisola con
Castellammare. L’impresa dello Haour ebbe discreto successo, ma il proponente –
stanco delle lungaggini burocratiche che si frapponevano alla costruzione della
linea – cedette i suoi diritti ad una Società formata da 34 persone, che si
costituì in Napoli con atto del notaio Luigi Maddalena il 7 aprile 1903,
assumendo la denominazione di “Società per Azioni delle Tramvie Sorrentine”.
L’esecuzione dei
lavori sulla linea, che incontrarono non poche difficoltà a causa della
ristrettezza della sede stradale (che in più punti dovette essere ampliata),
furono affidati alla Ditta Roberto Scotto di Tella, che provvide sia ad armare
la linea sia a realizzare la palificazione di supporto alle linee elettriche
necessarie al funzionamento delle elettromotrici.
Il regolare
servizio fu inaugurato il 20 gennaio del 1906 con generale soddisfazione delle
popolazioni residenti nella Penisola, che vedevano finalmente attuarsi un
antico desiderio ed uscivano, in effetti, da un lunghissimo periodo di
isolamento.
I primi anni di
esercizio non furono, a differenza di quanto si poteva ipotizzare, molto
facili, giacché la STS (questa la sigla “ufficiale” della Società Tramvie
Sorrentine) dovette far fronte a una controversia legale di lunghissima
durata con la Ditta esecutrice dei lavori, che pretendeva un notevole
accrescimento delle cifre pattuite, visti gli ostacoli che era stato necessario
superare a causa delle difficoltà naturali incontrate in corso d’opera. E si
trattò di un contenzioso che (a voler leggere bene le carte tuttora esistenti)
appare abbastanza inspiegabile, portato avanti sempre più a lungo, forse più
per dilazionare i tempi del pagamento, che perché veramente apparissero
infondate alla STS le pretese della Scotto di Tella, tanto che, in alcuni
bilanci, la relazione dell’Amministratore finisce con l’ammettere che – prima o
poi – si dovrà pur provvedere, anche se magari non nella misura richiesta dallo
Scotto, al pagamento delle rate finali dei lavori eseguiti per la costruzione
della Tramvia. E così, il risultato fu che si vennero a sommare, alla fine del
1907, i pagamenti dovuti sia alla Siemens che alla Scotto con un fabbisogno,
impressionante per l’epoca, di complessive Lire 800.000!
A questo periodo
va ascritta anche la spesa per estendere il deposito nell’area di piazza
Mercato in Meta, necessaria sia per meglio ricoverare il materiale mobile, sia in
vista di un possibile trasferimento della sottostazione elettrica (sita sulla
spiaggia di Alimuri) in prossimità dell’impianto di ricovero delle
elettromotrici.
Si aggiunga che,
nei primi anni di esercizio, non pochi furono gli svii di motrici e gli incidenti
provocati dai convogli tramviari, il che provocò alla gestione della Tramvia
una notevole emorragia di capitali, in un’epoca in cui era pressoché
inesistente lo strumento assicurativo. Ancora: persino una serie di concause di
ordine meteorologico, che influirono negativamente sulla stagione balneare del
1907 e del 1908, ridussero drasticamente i flussi turistici dai quali la STS si
attendeva salutari introiti.
Così, il
previsto prolungamento a Torre Annunziata, che avrebbe non solo reso più
competitiva la Tramvia, ma che soprattutto avrebbe garantito il collegamento
con la SFSM recando autentico beneficio alle popolazioni peninsulari, non poté
essere attuato, per quanto esistano i progetti della nuova linea. Né oltre la
fase progettuale fu sviluppata l’altra ipotesi di ampliamento della Tramvia,
quella verso Massa Lubrense, che però trovò incredibili ostacoli (bisogna
onestamente riconoscerlo) sul suo cammino burocratico.
I (pochi)
proventi delle gestioni degli anni sino al 1913 furono completamente annullati
dagli eventi di questo anno e dalla guerra mondiale. Dapprima, fu necessario
adeguare gli stipendi del personale secondo le tabelle previste dalla legge
così detta dell’”equo trattamento”, poi la Società fu costretta a continuare
l’esercizio in assoluta perdita durante tutti gli anni del primo conflitto
mondiale, durante i quali, ovviamente, i flussi turistici estivi, unica vera
risorsa della STS, si azzerarono. Di fronte a tale accumulo di difficoltà alla
Società non rimase altra prospettiva che quella di chiedere il cosiddetto
“esercizio di stato”, vale a dire una serie di sovvenzioni governative che
venivano erogate a fronte del riconoscimento della pubblica utilità dei
collegamenti esercitati. La richiesta della STS partì per Roma nell’ottobre del
1917, unitamente alla decisione di sospendere il servizio a partire dal
successivo 1° dicembre, vista l’acclarata mancanza di fondi.
La
risposta del Ministero non si fece attendere: mentre si invitava la Società a
soprassedere alla ventilata chiusura della Tramvia, si prevedeva per l’anno
successivo un possibile piano di “salvataggio” dell’esercizio, del quale si
riconosceva sin da allora la funzione essenziale nei collegamenti peninsulari.
Un’iniziativa
di questo periodo tesa ad incrementare il traffico e, nello stesso tempo, a
ridare ossigeno alle casse sociali, fu quella di attivare – in alternativa
all’ormai improponibile estensione della Tramvia a Massa Lubrense – un servizio
automobilistico tra Sorrento e Massa, destinato, in prospettiva, a raggiungere
anche Sant’Agata sui due Golfi. E così, coi proventi della vendita delle prime
tre rimorchiate, furono acquistate “due vetture automobili” del tipo FIAT 18
BL, destinate appunto all’esercizio della Sorrento-Massa. Ma, ahimé!, queste si
trovavano ancora in attesa di collaudo nel garage di Meta, ad agosto del
1918, quando furono requisite dalla Regia Marina, sicché solo il 1° luglio del
1919, dopo aver ottenuto non solo le sovvenzioni governative, ma anche il
recupero del prezzo delle vetture requisite, si potè dare inizio al previsto
servizio autoviario.
Dopo anni
di grande incertezza nella gestione STS, un grande mutamento avviene con
l’Assemblea straordinaria del 23 maggio 1931, allorché entrano a far parte del
Consiglio di Amministrazione della Tramvia personaggi (primo fra tutti Ivo
Vanzi), che sono “voluti” dalla SFSM (Strade Ferrate Secondarie Meridionali: la
società della ferrovia Circumvesuviana), la quale si assume l’onere di
ripianare il bilancio fallimentare delle Tramvie Sorrentine. Basti rilevare,
per comprendere come ormai la STS diventi una Società controllata dalla SFSM,
che la nuova sede sociale viene stabilita in Napoli, corso Garibaldi, 387,
quello che ancor oggi è l’«indirizzo» della Vesuviana!
Data da
questo anno il profondo rinnovamento della Tramvia, che - nelle mani di uomini
molto più capaci e soprattutto disponendo di ben altre risorse economiche - può
mettere a punto un piano di ammodernamento che - per quanto limitato dalla
prospettiva del futuro prolungamento della Circumvesuviana a Sorrento -
consente in breve di riacquistare ingenti quote di pubblico sia per quanto
concerne l’esercizio tramviario che quello automobilistico. E il “merito” delle
accresciute presenze va anche, dal 1934 in poi, al prolungamento sino a
Castellammare della ferrovia con il conseguente spostamento del capolinea del
tram nel piazzale antistante alla nuova stazione della Vesuviana.
Ancora:
finalmente si attua il passaggio dalla fornitura termoelettrica della corrente
a quella idroelettrica, si trasferisce la sottostazione da Alimuri accanto al
deposito di Meta, si rinnova totalmente il parco autoviario, e notevoli
modifiche e miglioramenti subiscono le elettromotrici, come meglio vedremo nei
successivi paragrafi.
Gli anni
fino allo scoppio della guerra sono segnati finalmente da dati positivi, che
però saranno di nuovo annullati dalle vicende del secondo conflitto mondiale.
Benché fuori dai gravi bombardamenti che coinvolsero Napoli, tuttavia la
Castellammare-Sorrento non fu indenne dal risentire degli eventi bellici,
soprattutto nel 1943: con la rovina, infatti, del ponte di Seiano, fu
necessario sospendere totalmente il servizio dal 15 settembre 1943. A partire
però dal successivo 28 novembre fu riattivata almeno la tratta da Meta a
Sorrento. In seguito (30 dicembre) fu consentito il transito su un ponte
provvisorio e, quindi, l’esercizio poté essere ripreso a pieno dal 25 gennaio
del 1944. Ma si trattava di una parvenza di esercizio, giacché, a causa della
necessità di risparmio della corrente, le corse venivano sospese ogni
giorno tra le 9 e le 15.
Agli anni
della guerra va ascritta poi la cessazione (per la STS) del servizio
automobilistico da Sorrento a Massa, dovuta sia all’obsolescenza dei veicoli
che alla volontà di utilizzarli in supporto alle corse della tramvia. Con
contratto del 30 gennaio del 1943 la Sorrento-Massa veniva ceduta, seppure in
via provvisoria, alla SAIM, che – in seguito – verrà incorporata dalla SITA,
Società che tuttora gestisce il collegamento Sorrento-Massa-Sant’Agata.
Particolare
interesse destano, infine, le vicende successive alla chiusura dell’esercizio,
che avvenne esattamente il giorno precedente all’apertura della tratta
Castellammare-Sorrento della Vesuviana, il 6 gennaio 1948. Anche senza
voler considerare l’eccesso di fretta nel chiudere l’intero impianto, che
avrebbe potuto benissimo continuare a funzionare sulla tratta Meta-Sorrento per
garantire quella sorta di collegamento “urbano” che solo in parte poté essere
surrogato dai treni-navetta, fu certamente azzardato dismettere tutto il
materiale relativo all’armamento e alla rete, nonché carrozze e ricambi, senza
il preventivo assenso del Consorzio di comuni che avevano permesso – a suo
tempo – la realizzazione della Tramvia. Di qui una nuova vertenza giudiziaria,
che vide impegnate da un lato la STS (e per essa la SFSM), dall’altra il
nominato Consorzio, che intentò azione legale per il recupero della propria
quota sul ricavato della vendita del materiale di risulta della Tramvia con
atto del 7 febbraio 1948, bloccando così tutte le procedure di alienazione, in
particolare quella delle vetture, che – ancora efficienti – erano state
richieste da più parti e, in particolare, dalle Tramvie Elettriche Comensi, che
intendevano utilizzarle sulla Como-Erba-Lecco. Ed appare veramente
incomprensibile come – per raggiungere un accordo che sarebbe stato vantaggioso
per ambedue i contendenti – si siano persi oltre quattro anni, rendendo così
vana ogni speranza di poter ottenere un buon risultato almeno dalla cessione
delle elettromotrici, che – invece – nel frattempo si ridussero a mucchi di
ferraglia.
Nel 1952,
finalmente, tutto quanto era concentrato nel deposito di Meta venne venduto per
rottamazione e, mentre l’impianto, concesso in uso all’AGITA, continuava a
funzionare temporaneamente come rimessa per il servizio autoviario della
Meta-Sorrento, la Società delle Tramvie Sorrentine veniva messa definitivamente
in liquidazione in data 12 aprile 1952.
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Terminata
la salita, il tram ridiscendeva, sempre percorrendo curve molto ardite e
costeggiando il ciglio del monte, verso Seiano (ulteriore punto di raddoppio) e
di qui – per arrivare a Vico Equense – transitava sul “celebre” ponte, l’opera
d’arte più significativa della strada borbonica, che era stato necessario
allargare per consentire il passaggio delle elettromotrici. Poi si raggiungeva
Vico e, dopo un primo raddoppio in località Cavottole, si transitava dinanzi
all’Istituto “SS. Trinità e Paradiso”, si sfiorava la piazza principale e ci si
dirigeva verso il sito dell’attuale stazione della Circumvesuviana, ove la
linea presentava ancora un raddoppio.
Il tratto
successivo si prospettava estremamente variato sia per il mutare incessante del
profilo altimetrico che per le continue curve della strada, culminanti con
quelle – strettissime – dello Scrajo, ove – di nuovo – il raddoppio appariva
quasi una gradita sosta per ammirare un panorama “mozzafiato”. L’ultimo tratto
della linea, abbastanza pianeggiante soprattutto se paragonato ai dislivelli
superati, conduceva le elettromotrici a Pozzano (penultimo raddoppio della
linea dopo quello denominato “Cosenza” da una proprietà del luogo) e quindi
all’interno del comune di Castellammare di Stabia. Qui, all’altezza delle Terme
(quelle che oggi sono per noi le “Antiche Terme”), la linea diventava a binario
doppio. Il tram proseguiva verso la Stazione delle Ferrovie dello Stato per
attestarsi, dopo aver percorso via Nino Bixio, in piazza Principe Umberto, all’altezza
della Villa Comunale, ove si compivano i Km 19.400 della linea.
E l’unica
variante percorsiva della tramvia riguardò, nel 1934, proprio quest’ultimo
tratto, giacché, dopo il raggiungimento di Castellammare da parte della
Circumvesuviana, i binari del tram vennero a loro volta prolungati, e il
capolinea venne spostato – con un breve raccordo – di fronte alla nuova
stazione SFSM, allo scopo di facilitare ancor più lo scambio tra i due vettori.
La
percorrenza era prevista in un’ora e 36 minuti, e i convogli erano generalmente
distanziati di mezz’ora. Esistevano anche corse ridotte operaie (mattinali) in
partenza dal Deposito di Meta per i Cantieri di Castellammare e – soprattutto –
delle “navette” (durata del percorso 21 minuti), che collegavano Meta
(Deposito) con Sorrento. Queste ultime erano anch’esse distanziate di 30
minuti, ma sfalsate di 15 rispetto ai tram destinati a compiere l’intero
itinerario.
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Caratteristiche
tecniche e materiale rotabile
Nei
tratti in sede riservata, affiancata alla Provinciale, l’armamento della
tramvia sorrentina era costituito da rotaie Vignoles aventi, a seconda
delle tratte, pesi di 21, 23 e 27 kg/m, affiancate – nelle curve di raggio
minore – da apposite controtaie. Non ci è dato sapere come questi tre tipi
fossero “distribuiti” lungo la rete; è tuttavia presumibile (vista la
scarsa lunghezza complessiva, appena 1.816 m) che le rotaie del tipo più
pesante siano state poste in opera sul raccordo per la Stazione della Vesuviana
di Castellammare o in occasione di interventi di manutenzione dell’armamento.
Nelle tratte interne ai centri abitati, ove la tramvia correva in sede
promiscua, erano utilizzate rotaie a gola (Phoenix) del peso di 35 kg/m.
Lungo la
linea, in corrispondenza dei raddoppi, della diramazione per la stazione SFSM
di Castellammare, del deposito-officina di Meta e all’interno del deposito
stesso erano posizionati venti “apparecchi di scambio”, di cui quattordici
costruiti con rotaie Vignoles ed i restanti con le Phoenix.
La linea
aerea di alimentazione ove possibile (e quindi in prevalenza nei tratti urbani)
era trattenuta da appositi tiranti in filo a corda d’acciaio con tenditori
agganciati ai fabbricati esistenti lungo il percorso; nei tratti “extraurbani”
(e nei restanti tratti cittadini) essa era ancorata, tramite mensole, ad
appositi pali.
Il
deposito-officina della STS era ubicato a Meta di Sorrento e, oltre ad ospitare
la rimessa delle vetture, accoglieva anche dei locali destinati ad officina, il
magazzino, e gli uffici della Direzione (questi ultimi ubicati in una apposita
palazzina); in un secondo momento in alcuni locali, adiacenti all’area
destinata ad officina trovò posto una delle due sottostazioni elettriche di
alimentazione. Vi erano, inoltre, un’area destinata a giardino ed un cortile
interno, situato fra la rimessa ed i magazzini, nel quale si trovavano altri
binari di servizio. Per trasferire il materiale rotabile dalla rimessa ai
locali dell’officina, era stato installato un carrello trasbordatore azionato a
mano tramite un apposito argano.
La
sottostazione elettrica era equipaggiata con una commutatrice esafase
Brown-Boveri tipo GW 600/4 b, un regolatore ad induzione Brown-Boveri tipo MJL
14, un trasformatore trifase in olio, un interruttore trifase ad olio
(anch’essi di costruzione Brown-Boveri) e una bobina di reattanza in olio.
La
seconda sottostazione elettrica era situata a Castellammare di Stabia ed era
equipaggiata con un gruppo divisore di tensione, di costruzione Brown-Boveri, e
da un quadro di manovra composto da due armadi sempre con telaio in ferro (come
quelli di Meta), stavolta chiusi da pannelli in lamiera.
Con
contratto del 10 ottobre 1903 la Società delle Tramvie Sorrentine stipulava un
accordo con la berlinese Siemens-Schuckert-Halske per l’acquisto complessivo di
sedici elettromotrici e nove rimorchiate, che avrebbero dovuto costituire il
parco della neonata tramvia Castellammare-Sorrento. La fornitura fu sdoppiata
in due momenti: le prime dodici motrici, numerate progressivamente da 1 a 12,
vennero consegnate alla fine del 1905 e messe in esercizio sin dall’apertura
della linea a gennaio del 1906, mentre le ultime quattro – unitamente alle
rimorchiate – giunsero a Meta a fine 1906 ed allestite per l’esercizio da
tecnici della Ditta costruttrice nel corso del 1907.
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Lunghe
complessivamente m 9.60 e adattate allo scartamento di m 0.95 della linea, le
vetture della Castellammare-Sorrento costituiscono un unicum in
Campania, essendo le sole dotate di carrelli monoassiali collegati tra loro a
cerniera sferica; ogni sala era equipaggiata con un motore – ovviamente Siemens
– del tipo CD 17/24, sì da ottenere una potenza complessiva di 100 HP (kW
2x36.7) alla tensione di linea di 850 V cc. La presa di corrente era ad
archetto.
La cassa,
costruita dalla Waggonfabrik Falkenried di Amburgo, abituale ‘fornitore’ della
Siemens, era in legno, originariamente divisa in due compartimenti di I e di II
classe. Non è dato oggi sapere quanti fossero i sedili riservati all’una e
all’altra (comunque trasversali e disposti in fila unica su un lato e doppia
sull’altra: 22 totali), anche se, dai disegni d’epoca tuttora esistenti, appare
chiaro che le vetture erano divise esattamente a metà. Fatto sta che, invece, i
posti di I classe appaiono ridotti a soli due negli anni ’30. Anzi: dopo la
ricostruzione, la I classe fu abolita e creato un compartimento unico per complessivi
24 posti a sedere di II. Le due piattaforme, chiuse sin dall’inizio, erano
munite di due vetri laterali e tre frontali e protette – allo stato d’origine –
solo da due cancelletti.
Otto
moduli, dai finestrini finemente arcuati nella sezione superiore, e un
lucernario lungo quanto il compartimento viaggiatori caratterizzavano le
vetture, elegantemente verniciate in giallo paglierino e rosso, tranne che nei
frontali, dipinti in nocciola con un bordo più scuro per ciascuno dei riquadri.
Assolutamente
identiche nella carrozzeria, le vetture del primo e del secondo gruppo si
distinguevano, invece, per la parte meccanica, perché 1÷12 erano dotate di
compressore su boccola, mentre 13÷16 sin dalla loro consegna presentavano il
compressore assiale, che venne montato subito anche sulle motrici della prima
dotazione, sia per rendere più sicuro l’esercizio che per omologare la gestione
dei ricambi.
Non poche
furono le modifiche subite dalle motrici della Castellammare-Sorrento durante i
quarantadue anni della loro esistenza, e tutte furono concentrate nel periodo
tra il 1933 e il 1941. Innanzitutto, per rendere più sicure le vetture ed
evitarne il frequente svio (ma in realtà si riuscì solo a ridurre il fenomeno),
si provvide a modificare radicalmente i telai, inserendo un terzo asse centrale
portante ed aumentando la distanza tra le sale motrici estreme a m 4.50.
Contemporaneamente, tutta la dotazione fu fornita di motocompressori TIBB del
tipo CZBJ e di un regolatore di marcia parimenti costruito dal Tecnomasio (tipo
G 6/0), che – in ogni vettura – andò a sostituire uno di quelli originali
Siemens, ottenendosi così la singolare compresenza di due diversi regolatori su
ogni motrice.
Terminate
le modifiche agli impianti elettrici nel corso del 1934, si pose mano alla revisione
generale delle casse, allestendo - non a caso presso le Officine SFSM di San
Giovanni a Teduccio - una motrice-modello (casualmente fu scelta la 5, quella
che aveva inaugurato il servizio nel 1906) alla quale fecero seguito altre
unità (2-3-7-8-9-10-12-13-14), che furono inviate alle OFM (Officine
Ferroviarie Meridionali) per la ristrutturazione.
Le
vetture ricostruite, alle quali si aggiunse ancora un’unità (la 15) nel 1941,
presentavano uno schema più semplificato rispetto a quelle originali. Rese
essenziali al massimo negli elementi strutturali (ad esempio, persero
l’arcuatura superiore dei finestrini), non erano tuttavia prive di una loro
eleganza. Stranamente, presentavano porte pneumatiche a due antine su un solo
lato (come se fossero unidirezionali), il che rendeva spesso problematiche la
salita e la discesa dei viaggiatori allorché il lato-porte non corrispondeva al
ciglio della strada. Inutile dire che erano verniciate in verde bitonale,
colore al quale del resto era stato già dalla fine degli anni ’20 adeguato
l’intero parco della Castellammare-Sorrento. Singolari, infine, i numeri
metallici che andarono a sostituire quelli verniciati, ancora presenti sulle
casse delle motrici non ricostruite.
Come si
vede, ben undici unità – alla cessazione dell’esercizio – si trovavano ad esser
state revisionate pressoché completamente e, quindi, apparivano in grado di
continuare a funzionare per non pochi anni ancora. Tanto più appare
inspiegabile che – per una controversia giudiziaria – esse siano state inviate
alla demolizione per il solo ammaloramento subito negli anni di “fermo” dal
1948 al 1952!
Pochi i
dati relativi alle nove rimorchiate della Castellammare-Sorrento. Sappiamo
solo, dai dati oggi esistenti, che, per quanto numerate promiscuamente nella
serie da 21 a 29, esse erano di due tipi, per passeggeri e “bagagliaio”. Queste
ultime, destinate non solo al trasporto delle merci, ma anche a quello di
viaggiatori (come appare dall’unica immagine reperita) erano classificate 25,
26 e 27. Nulla
sappiamo delle caratteristiche tecniche, della lunghezza e della capienza di
questi ultimi rotabili, che solo per pochi anni, del resto, fecero parte della
dotazione della STS. Ricordiamo, infatti, che, per esigenze economiche ed anche
a causa del ridotto volume di traffico negli anni della prima guerra mondiale,
le rimorchiate furono progressivamente alienate entro il 1921. Le tre
“bagagliaio”, in particolare, furono vendute all’Ing. Andrea Mayr-Rustici
(1919), che operava per conto di un’Azienda purtroppo oggi a noi sconosciuta.
Non conosciamo
i numeri di quelle partite per il Valdarno nel 1918 e delle ultime tre residue,
che furono utilizzate nell’esercizio della tramvia di Mondovì, ma – grazie ai
dati e alle immagini contenuti nel volume di Adriano Betti Carboncini che
indaga sulla storia dei trasporti nel Valdarno – possiamo sapere non solo che
le tre rimorchiate ex-Sorrento furono rinumerate da 6 a 8, ma anche apprezzarne
le linee della cassa, in tutto e per tutto simili a quelle delle corrispondenti
motrici: otto moduli, lucernario lungo, cancelletti identici alle piattaforme,
identica lunghezza, probabilmente uguale anche il numero complessivo dei posti
offerti. E certamente simili saranno state anche le ultime tre unità operanti
in Piemonte.
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