un itinerario tra storia e ricordi

di Antonio Gamboni

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Napoli 1863. Lungo l’antica strada de’ Fossi, un corpulento signore di anni 61 si dirige verso le stazioni delle strade ferrate. Il suo nome è Alexandre, di cognome fa Dumas. Di origini francesi, era giunto a Napoli nel 1860 al fianco di Giuseppe Garibaldi ed era stato il contatto tra il Generale e Liborio Romano, un napoletano che, già Ministro dell’Interno e Capo della Polizia del governo borbonico, coprirà la carica di ministro dell’interno del neocostituito governo liberale. Tornando al nostro protagonista, egli è diretto a Roma e prende nota dei suoi appunti di viaggio, appunti che, dati alle stampe sotto il titolo “Da Napoli a Roma”, così iniziano:

 

“Se nel giungere alla ferrovia, la cui stazione dà sul corso Garibaldi, v’avvedete d’esser giunto un quarto d’ora prima della partenza, ed invece di starvene in uno de’ saloni, sempre noiosissimi per quanto riccamente addobbati, preferite fare una piccola escursione storica nel decimoterzo, decimoquinto e decimottavo secolo, inclinate a sinistra, avviatevi per la porta della Marinella, fate cinquanta passi in una piazza che vi sembrerà a prima vista senza sbocco e vi troverete rimpetto alla chiesa di Santa Maria del Carmine”.

 

Da quanto si legge, apprendiamo che l’antica “strada de’ Fossi”,  così denominata perché seguiva il fossato delle antiche mura aragonesi, ha cambiato il toponimo in “Corso Garibaldi”, nome che mantiene ancora oggi. Non è chiaro, però, perché per raggiungere la piazza Mercato effettui un lungo percorso passando per la Porta della Marinella (o Vado del Carmine) così denominata per essere la comunicazione tra la piazza e la via Marina.

Il Dumas, dopo essersi ampiamente dilungato sulla storia di Napoli per ben 80 pagine (3 capitoli), decide di tornare alla stazione, ma passando per la Porta del Carmine. Ed ecco come principia il quarto capitolo:

 

“Per uscir da tutto questo labirinto di strade e raggiunger ora la ferrovia, passiamo per la porta del Carmine, la stessa per la quale Garibaldi entrò in Napoli il 7 settembre 1860, e fermiamoci alla seconda stazione.

È quella di Roma: la prima è quella di Salerno.

A qualunque punto del mondo metta capo una ferrovia, una stazione è sempre una stazione, e la miglior cosa che si possa fare è di giungervi all’ora precisa della partenza per restarvi il minor tempo possibile.

Adagiamoci dunque alla meglio nel wagon: quel che abbiam a veder dapprima è poco interessante e possiamo spender pochi minuti al nostro assetto interno”.

 

Pianta della zona Mercato dellArch. Luigi Giura, edizione marzo 1862. Il rettangolo rosso evidenzia

le due stazioni del Corso Garibaldi: a sinistra quella per Roma ed a destra quella per Salerno.

Il cerchietto in verde indica la Porta del Carmine e quello in blu il Vado della Marinella.

(Archivio Storico del Comune di Napoli).

  

La Porta del Carmine in una incisione che la ritrae poco prima di essere demolita nel 1836 e, a destra,

il Vado del Carmine in una cartolina viaggiata nel 1900 (coll. A. Gamboni).

Incisione tratta da Un mese a Napoli, volume edito nel 1863 da G. Nobile, che mostra:

in primo piano la stazione della Napoli-Salerno (ex Ferrovia del Bayard per Nocera) e,

alla sua sinistra, quella della Napoli-Roma (ex Regia Strada Ferrata per Caserta).

Lerrata didascalia dellimmagine è, probabilmente, dovuta al fatto

che le incisioni furono preparate dopo il 1860 (coll. E. Bowinkel).

Dunque a Napoli, nel 1863, le stazioni delle strade ferrate erano ancora due: l’una della linea per Salerno, che proprio in quell’anno stava passando dalla ‘Società del Bayard’ alla nascente ‘Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali’, e l’altra per Roma, già dal 1860 andata in gestione alle Strade Ferrate Romane. La nuova “Stazione Centrale delle Ferrovie” sarà inaugurata solo nel 1867.

Incisione tratta da L'Illustration Journal Universel”. Limmagine ricalca una foto di M. Bernoud

scattata nel giorno della inaugurazione della Napoli-Roma e che mostra una stazione fatiscente,

ma imbandierata per la cerimonia (coll. A. Gamboni).

Mentre il Dumas sistema le sue cose, consultiamo un orario ferroviario delle “Strade Ferrate Romane - Rete Sud”, edito nel 1866 (anno più vicino al viaggio di Dumas). L’intera linea Napoli-Roma risulta lunga km 261 dei quali 138 nel neonato Regno d’Italia e 123 nello Stato Pontificio. I sette treni in orario sono tutti misti e con le tre classi; solo due effettuano il percorso completo da Napoli a Roma impiegando: ben 12 ore quello che parte alle 6,30 del mattino e 8 ore e mezza quello in partenza alle 10,30 che, però, non effettua tutte le fermate.

     

Frontespizio e pagina interna della Guida-Orario delle Strade Ferrate Romane - Rete Sud.

A Ceprano, prima stazione dello Stato Pontificio, avveniva il controllo dei passaporti (coll. A. Gamboni).

Cartina più volte ripiegata ed allegata al libro di Dumas. Per meglio riconoscere il tracciato della ferrovia

sono stati evidenziati: in rosso il percorso da Napoli al fiume Liri (in territorio italiano)

ed in blu quello dal Liri a Roma (in territori papalino).

Inoltre, tutte le stazioni elencate nellOrario sono state cerchiate (coll. A. Gamboni).

Preso, quindi, posto in carrozza, dopo aver sistemato le sue cose, il Dumas passa alla descrizione di quanto si vede dal finestrino:

 

“Traversiamo le così dette Paludi. Erano difatti veri pantani, nei quali abbondava la caccia, ai tempi del re Alfonso. Questo sovrano era un gran cacciatore, ma stavagli molto a cuore la sua sanità e quella de’ Napolitani; e però, a rischio di porre in fuga le gru, le cicogne, le beccacce e le anitre vedendo che ogni estate le esalazioni paludose cagionavano febbri in Napoli, fé costruire argini per condurre le acque al fiume e riuscì a disseccare tutto il territorio compreso fra la presente stazione e Casalnuovo”.

  

In questa piccola stazione, dove ferma solo il convoglio delle 6,30, assistiamo ad un vero e proprio assalto al treno che, a dire il vero, ci sembra poco attendibile visto che i cani a bordo delle carrozze non erano ammessi. Ecco come il Dumas descrive l’accaduto:

 

“Una rivoluzione allora ha luogo fra’ cacciatori napolitani: ognuno dà di piglio allo schioppo, pone il guinzaglio a’ cani, e si lancia in un wagon di seconda o di terza classe.

A Casalnuovo i corricoli aspettano i cacciatori e li sparpagliano nella pianura, ove, cacciando le quaglie, ma cacciati dai briganti, corrono il rischio di essere cacciati anch’essi. Giungiamo così, quasi senza avvedercene, costeggiando le falde del Vesuvio, ad Acerra, patria di Pulcinella, feudo di quel famoso conte della Cerra, che tradì Manfredi a Benevento… Nel biforcamento appunto delle due ferrovie [a Cancello], di cui un tronco s’avvia verso Avellino, mentre l’altro gira a sinistra e corre a Capua, ha principio la strada che mena a Benevento, da’ Sanniti detto Maleventum… varchiamo la stazione di Cancello e giungiamo a Maddaloni.

La locomotiva n 2 delle Strade Ferrate Romane proviene da Caserta ed è diretta a Maddaloni.

La foto, databile tra il 1867 ed 1873, è stata scattata da A. Mauri (ripr. coll. A. Gamboni)

Passando per Cancello, abbiam accennato al tronco di ferrovia che si slancia borioso verso il sud quasi volesse traversar tutta la Calabria e s’arresta poi corto dopo cinque o sei leghe, a Sarno, facendo uno sforzo inutile per andar ad Avellino.

A che quel tronco di ferrovia? Non giova a nulla né ha alcuno scopo.

È un capriccio di S. M. il re Ferdinando II.

Ferdinando II, checché gli si fosse detto, non potè mai persuadersi che una ferrovia fosse cosa d’utilità pubblica, e non un divertimento reale. Vedendo quindi che la ferrovia era giunta a Cancello, disse: - andiamo a Palma - , e da Palma a Sarno, a San Giorgio ed a Sanseverino. Il vero ingegnere era il re, e non avendo egli alcuna nozione di geodesia, una ferrovia costruita sotto la sua direzione sarebbe andata lontano assai: questa, a mo’ d’esempio, seguiva una linea parallela a quella di Castellamare, e, giunta dirimpetto Nocera, trovavasi a poche centinaia dall’altra; sicché l’una o l’altra rendevasi inutile.

Così a San Germano, come potrete vedere, il treno, dopo essere giunto alla stazione, torna indietro per due chilometri circa. Perché? Sua Maestà voleva una palazzina, alla quale andasse a prenderlo la ferrovia, il capriccio reale accresceva di quattro chilometri la lunghezza della strada e di seicento od ottocento mila franchi la spesa; ma, sotto Ferdinando II, si diceva semplicemente, come negli antichi editti: - Dio lo vuole, - e tutto era bello e spiegato.

Le fondamenta della casina reale furon poste: serviranno a costruire un deposito di locomotive, e la nuova società, per non far fare quattro chilometri soverchi a’ viaggiatori, passerà da una linea all’altra con una curva di 600 metri.

Così ancora, a Caserta, la ferrovia dovè descrivere una curva sterminata per fermarsi appunto innanzi alla reggia. Fu un altro capriccio reale.

Una curva in una ferrovia è sempre un errore, salvo quando l’ingegnere non vi sia costretto dall’indole del suolo; giacché ogni curva allunga la via ed accresce la spesa; - linea recta brevissima. Il sogno degl’ingegneri è di fare la strada più diritta, più corta e più piana che sia possibile, passando per quante può città e villaggi. Ora quando alle difficoltà naturali del suolo s’uniscono i capricci del sovrano, non vi è ragione perché una ferrovia che avrebbe costato dieci milioni non ne costi quaranta.

Giacché siam tornati indietro, cogliam l’occasione di dire che le balie d’Acerra son le più belle e le più eleganti de’ contorni di Napoli”.

 

Dopo queste digressioni, che certo non mettono in buona luce Ferdinando II, ripartiamo da Capua (km 45), dove il convoglio sosta dalle 8,21 alle 8,26. Qui, per il superamento del fiume Volturno, è stato costruito un ponte in legno simile a quello realizzato sul fiume Po. Ma leggiamo cosa è scritto nel libricino:

 

“Mentre si lavora il bellissimo ponte di ferro sul Volturno, la compagnia ne ha fatto costruire uno di legno provvisorio, che è costato cinquecentomila franchi e può durar vent’anni; presso a poca quanto durano due papi a Roma ed un governo in Francia.

Disegno quotato del ponte provvisorio in legno gittato nel 1861 per lattraversamento del fiume Po.

Limmagine è tratta dal volume Ponti e Viadotti metallici dell'ing. Lauro Pozzi (biblioteca A. Gamboni).

In basso, foto depoca con un convoglio in transito sul ponte di cui sopra.

Si è fatto riferimento a queste immagini in quanto il ponte sul Po e quello sul Volturno erano simili. 

Dopo Capua la ferrovia si ferma a Pignataro. Questo villaggio non presenta nulla di ragguardevole, né pel pittoresco, né per le memorie. Dal wagon ove eravamo, vedevamo una camera ove si stringevano confusamente una giovane, un fanciullo con un capretto, fra le braccia, una troia che allattava due porcellini, un gallo, polli, oche ed anitre. A torto dunque dicevamo non trovarsi nulla di buono a Pignataro.

Sulla via Latina corre ad un dipresso il treno della ferrovia. Essa traversava Teano, serpeggiando presso le osterie di San Felice e di Mignano.

Rocca d’Evandro è l’ultima stazione prima di San Germano”.

 

Ancora due brevi fermate e siamo a Ceprano, prima stazione dello Stato Pontificio. Il confine tra il neonato Regno dItalia e lo Stato Pontificio è segnato dal fiume Liri.

 

La stazione di Ceprano in una foto quasi coeva. Qui avveniva il controllo dei passaporti (coll. V. Simonetti).

Fra Isoletta e Ceprano il fiume segna la frontiera fra l’Italia e gli stati del papa, giacché questi, cosa strana e quasi incredibile, non fanno ancora parte dell’Italia. I viaggiatori del resto han potuto avvedersene dalle mille vessazioni che han fatte loro subire la dogana e la polizia romana.

Ciò ha dato loro il tempo, speriamo, di prestar l’attenzione che merita al magnifico ponte gettato dal sig. Brockmann sul fiume.

Quella contadina di Ceccano dal pittoresco abbigliamento, che passa, seguita da un cane, va forse a portar pane a’ briganti. Non la fermate: ha in tasca le indulgenze di Sua Santità Pio IX.

Eccoci adunque in terra pontificia, cioè nel punto del globo che resta immobile, mentre tutto il resto gira. Se Galileo fosse stato in carcere negli stati romani anziché in Toscana, non avrebbe potuto dire il famoso - E pur si muove. -

Passeremo, se volete, per Frosinone e Ferentino senza fermarci. Frosinone non può offrirci che uno stupendo paesaggio, e potete vederlo dallo sportello del wagon.

Segue a Velletri Civita Lavinia. Dopo essere andato a Velletri col passo fermo della storia, entriamo in Civita Lavinia col passo vacillante del dubbio”.

 

In realtà il treno fermerà sia a Frosinone che a Ferentino; pertanto, riteniamo che il Dumas, poiché è giunto alla pag. 363 del suo libro, abbia fretta di giungere a Roma.

Dopo Civita-Lavinia, il treno ferma ad Albano, Marino, Ciampino e, finalmente, giunge a Roma.

 

Passeremo accosto alla vaghissima chiesa de’ SS. Giovanni e Paolo: non ha alcuna delle grandi memorie che desta quella di S. Maria degli Angeli, ma è grata all’occhio, ombreggiata com’è da un enorme palmizio.

Poi finalmente ci arresteremo fra S. Maria Maggiore, opera fatta in comune da Sisto V cardinale e dal Fontana architetto, ed il Colosseo che, come simbolo, è per la Roma antica ciò che S. Pietro è per la Roma moderna.

Eccovi a Roma - visiterete tutto minutamente: non tocca a noi farvi da guida. La locomotiva si ferma; date il vostro biglietto; presentate il passaporto, - e nascondete questo libro”.

1869: il provvisorio piazzale binari della stazione a Termini visto dal Monte della Giustizia.

(Fototeca FS)

Il nostro orologio segna le ore 6,30 del pomeriggio e siamo giunti al termine del nostro viaggio. Purtroppo il corposo libricino (380 pagine, formato cm 10 x cm 14) non fu ben nascosto, tanto da essere acquistato dallo scrivente per £ xxx.000 il 12 giugno del 1995.

Alexadre Dumas

Alexandre Dumas

fotografato da

Gaspard Félix Tournachon

 

Frontespizio del volumetto

Da Napoli a Roma

edito a Napoli nel 1863

Alexandre Dumas padre (per distinguerlo dal figlio omonimo), scrittore e drammaturgo francese, nacque il 24 luglio del 1802 a Villers-Cotterêts, un dipartimento della Francia settentrionale. Dai suoi capolavori più conosciuti sono stati tratti numerosi adattamenti cinematografici tra i quali vogliamo ricordare: Il Conte di Montecristo, I tre moschettieriVent’anni dopo e Il visconte di Bragelonne.

Il padre del nostro Dumas si chiamava Thomas Alexandre Davy de La Pailleterie ed aveva combattuto al fianco di Napoleone. Egli, conosciuto in Francia come il Generale Dumas, era figlio di un marchese francese e di una schiava africana originaria di Haiti, meglio nota come la femme du mas”, ovvero la donna della masseria.

Tornando al marchese, nonno del nostro Alexandre, causa il disaccordo con il proprio padre, ripudiò cognome e titolo nobiliare ed assunse come cognome il soprannome della madre (Du-Mas) che sarà trasmesso alle future generazioni, ma senza il trait dunion.

Alexandre Dumas viaggiò molto e, durante il suo soggiorno a Napoli, nel 1861 fu nominato da Garibaldi Direttore degli scavi e dei Musei”, carica che mantenne soltanto per tre anni in quanto dovette lasciarla “a causa dei malumori dei napoletani, che mal digerivano che uno straniero occupasse un tale incarico”.

Durante il suo soggiorno napoletano, il Dumas scrisse: “Storia dei Borboni di Napoli” (sette volumi pubblicati nel 1862), “Il Corricolo (1843)”, “La Sanfelice” (1864) ed il poco noto “Da Napoli a Roma” (1863).

Nel settembre 1870, divenuto semiparalizzato a seguito di una malattia vascolare, si trasferì a Puys, una frazione di Neuville-lès-Dieppe, nella villa di suo figlio Alexandre, lautore de La signora delle camelie. Morirà il 5 dicembre dello stesso anno.

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