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di Gennaro Fiorentino (Foto dell’autore se non diversamente indicato) | |
Correvano gli anni ’80 ed i miei rapporti di lavoro nel settore turistico con la nazione Jugoslavia, erano piuttosto intensi. I miei concittadini si innamoravano facilmente di quelle spiagge dove verdi pinete si tuffavano direttamente nel mare azzurro ed incontaminato. E non sempre costituiva un ostacolo la necessità di doversi dotare di un passaporto e di valuta locale adeguata per poter trascorrere una vacanza in tali posti. I traghetti della compagnia di navigazione Adriatica, conducevano velocemente da Ancona o Bari, sull’altra sponda verso Zara, Spalato e Dubrovnik. Più di una volta, le mie vacanze estive le trascorsi anch’io su quelle spiagge ciottolose, ma dove la vegetazione rendeva verde l’acqua salata. Una di quelle volte, feci tappa a Trieste e, sempre animato dall’amore per le ferrovie, fermandomi per una visita obbligatoria al neonato Museo Ferroviario. La sanguinosa guerra civile degli anni ’90, ha anteposto le due semplici lettere ex, alla parola Jugoslavia conferendo di nuovo alla penisola balcanica la policromia della macedonia. Ed io di nuovo a Trieste di ritorno dalla Slovenia, non più coinvolto nel lavoro turistico ma come anonimo turista. Il lunedì il Museo è chiuso, da sempre; ma quel lunedì 24 Agosto, proprio durante il mio transito per la città giuliana, sarebbe stato miracolosamente aperto. Quando il destino ti strizza l’occhio, non sempre puoi fregartene. Allora ecco il mio ritorno dopo poco meno di trent’anni, in questo Museo ferroviario speciale dove un gruppo di appassionati combatte una battaglia quotidiana contro le intemperie, le quadrature di bilancio e la burocrazia, affinché trionfino l’entusiasmo e la cultura ferroviaria. Il fabbricato come appare oggi, risale agli anni tra il 1901 ed il 1906 ed attribuibile al progetto dell’architetto Robert Seelig.
Veduta panoramica dell'edificio (da Wikipedia foto di Klaus Fohel).
Riproduzione in scala del FV visto dal lato arrivi. Si noti in prospettiva la tettoia sui binari di partenza ed arrivo. In effetti si tratta della completa ricostruzione in una nuova area, della preesistente stazione di S. Andrea. Era il capolinea della linea Transalpina di cui faceva parte la Trieste-Jesenice in collegamento con il territorio austriaco e le sue principali città. La nuova stazione, appartenente alle ferrovie dello Stato austriache, si candidava per essere seconda per traffico passeggeri e merci, solo alla stazione centrale della stessa città. Su un lato del piazzale accolse altresì il terminale della ferrovia parenzana che correva su uno scartamento di mm. 760 percorrendo tutta la penisola istriana fino a Parenzo. Le vicende politiche successive alla prima guerra mondiale, l’attribuirono all’Italia ed in particolare alle Ferrovie dello Stato. Nel 1923 prese il nuovo nome di Trieste Campo di Marzio. Nel 1935 con la chiusura della ferrovia parenzana, la stazione perse un consistente traffico ed iniziò una fase inarrestabile di crisi di traffico. La seconda guerra mondiale e le connesse vicende politiche ne determinò la chiusura e l’abbandono nel 1960. L’intervento degli appassionati del locale DLF, portò poi ad un suo riutilizzo in chiave museale che, come dicevo all’inizio, pur tra difficoltà, è riuscita a far sopravvivere fino ad oggi questa preziosa testimonianza di archeologia industriale. Durante la mia recente visita, ho potuto osservare che il Museo in tale giorno speciale, è stato meta di tantissimi visitatori che hanno approfittato dell’apertura straordinaria, a dispetto del meteo avverso. Il Museo è idealmente diviso in due significativi settori: le collezioni ospitate nel fabbricato viaggiatori (plastici, oggettistica, segnalamento, divise, diorami ecc.) e l’ampia raccolta di materiale rotabile parcheggiata per forza di cose, sui binari di quella che fu la stazione. L’ingresso avviene dal lato partenze che insiste sul Viale Giulio Cesare. Dopo aver pagato il piccolo biglietto, si entra nell’atrio della biglietteria di cui è difficile distinguere la bella architettura distratti dalle tante attrattive museali. Sulla sinistra, sono stato subito attratto dall’abbagliante candore di un plastico innevato con vari convogli in movimento.
Il plastico invernale descritto. Esso non è moderno ma gli autori (Chemaz-Dado-Fontanot) vi lavorano di continuo per il suo aggiornamento; infatti di recente è stata aggiunta la funivia. Il paesaggio montano, puro frutto di fantasia, riscuote molta attenzione. Quasi di spalle, è posto il plastico cosiddetto di Campo Martino che misura ben 35 mq.
Il grandioso e dettagliato plastico di Campo Martino. Esiste nel Museo dal 2001 ma, come si può intuire, è in continuo works in progress. L’ambientazione è ispirata al contesto di Cervignano del Friuli ed è in fase di digitalizzazione; ciò spiega l’assenza momentanea della catenaria. Il complesso lavoro è frutto di un lavoro di squadra con vari autori: M. Fontanot, L. Chermaz, A. Finizio, D. Carreta, A. Rusin ed altri. Dopo una visita affascinata alle tante sale che contengono tanti diorami ed oggetti, l’incombente temporale mi ha spinto a portarmi all’esterno per qualche foto ancora di qualità accettabile, al vasto parco di veicoli.
Una veduta dell’esterno pur sotto un cielo plumbeo, dà un’idea della stazione immaginandola con la tettoia. Ma sono stato subito attratto dall’esposizione occasionale dei gioielli dell’ospite odierno ossia il signor Helmut Telefont da Vienna. Si trattava di locomotive marcianti a vapore vivo in scala LGB (G) del tutto costruite “in casa”.
Due gioielli di locomotive in bella mostra con il loro bravo autore. Mi sono dedicato al resto. Hanno sempre un particolare fascino i treni armati come questa autoblindo su rotaia Leicht Spahwagen del 1944 appartenuto all’esercito tedesco.
Quando l’autoblindo si fa utilitaria. Adiacente si trova il locomotore E645.063 del 1964. Significativa ed interessante la presenza di locomotive a vapore dove non mancano numerosi esempi di prede belliche. Quella riprodotta è una 640, matricola 064 del 1910.
Locomotore della serie 645, cavallo di battaglia delle FS, e locomotiva 640.064 del 1910. Trieste fu città tramviaria, detenendo altresì il primato tuttora della presenza di un impianto di tram-funicolare: intendo quello di Opicina. Ed il suo carrello spingitore (Belli-Chinetti), di recente sostituito con uno più moderno, lo troviamo qui, risalente al 1978.
Vettura tramviaria 427 Stanga/CGE del 1927. Concludo la pur necessaria selezione con una vettura tramviaria a carrelli che si presenta in discreto stato di conservazione. Le mie note, lungi dal voler essere esaustive o addirittura rappresentare una guida, si offrono al contrario come invito a visitare questo interessante Museo ferroviario che la caparbietà dei volontari che vi provvedono, è riuscita a far raggiungere già il 30° compleanno.
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