Intervista (quasi) fantastica di Antonio Gamboni
e Paolo Neri
L’idea di scrivere un libro sulla prima ferrovia d’Italia già ci
affascinava da qualche tempo; ma per scrivere un libro ci vogliono
notizie, fatti, date e noi, di tutto questo, non avevano che solo
qualche fonte e per di più poco attendibile. Fu così allora che
decidemmo di dar fondo ai nostri risparmi e di intraprendere un
avventuroso viaggio verso la capitale francese dove si aveva notizia
che viveva ancora il Cav. Armando Giuseppe de La Vingtrie, ingegnere
costruttore della ferrovia oggetto del nostro studio.
Prima di partire da Napoli per la nostra avventura ci recammo in via
del Piliero n. 21 ed acquistammo da Mes. A. Visslier, con la spesa
di 128 franchi ciascuno, due biglietti di 2a classe
per il battello “Vesuvio” della Società dei “Paquebots a Vapeur”.
Lasciammo il porto di Napoli verso le ore tre del pomeriggio di
giovedì 15 settembre 1864 e, sotto la guida del valente Cap.
Ferrari, dopo una sosta a Civitavecchia e circa 40 ore di
navigazione, giungemmo a Marsiglia sabato 17 settembre alle ore 7
del mattino.
Consumata un’abbondante colazione, prendemmo posto sull’espresso
delle ore 10 diretto a Parigi.
La Guida Chaix, edita nel 1857, servita per
organizzare il nostro viaggio e ...
... l'interno della Gare de Lyon (coll. A.
Gamboni).
La veloce “Crampton” ci trainò facendoci attraversare quasi tutta la
Francia ed entrò in Parigi, alla “Gare de Lyon”, da qualche anno
inaugurata, la domenica alle ore 6,15 del mattino. Una fredda
pioggerellina autunnale, che batteva insistentemente sulle curve
tettoie della stazione, ci diede il benvenuto nella capitale
francese.
Il primo pensiero, prevedendo una sosta di alcuni giorni per la
nostra indagine, fu di cercare una sistemazione in un albergo comodo
e decoroso, ma allo stesso tempo dal prix raisonnable.
Fummo fortunati nel trovare una piccola e deliziosa stanza in un
albergo in rue de Lille 26 pomposamente chiamato “Hotel des
Ambassadeurs”. La nostra camera affacciava sul pieno centro della
città. Due letti di lamiera verde decorata a fiori rosei, una
concola in ferro smaltato per lavarsi, tendaggi a fiori ed una
modesta lampada a petrolio sul comodino.
Dormimmo su quei letti come non mai e l’indomani mattina, di
buon’ora, ci recammo alla École de Ponts et Chaussées per
rintracciare nel “catalogue des ingenieurs” l’indirizzo
dell’abitazione di Armando Bayard, ex allievo dell’istituto.
La cosa si mise per il meglio. Il recapito risultò essere proprio in
rue de Lille al civico 9 bis, non lontano dal nostro Hotel. Non
restava allora che andare a bussare alla sua porta. La prima
difficoltà sorse quando ci fu detto che il Cavaliere aveva
traslocato per andare ad abitare con il fratello minore Carlo in rue
St. Guillaume 29, a due passi dalla rue de Lille.
Due immagini della vecchia Parigi: mercatino domenicale alla rue
Mouffetard (da sito internet).
In breve fummo al nuovo indirizzo e, alquanto emozionati per
l’incontro che stava per avvenire, bussammo con discrezione alla
porta di casa Bayard. Non passò molto tempo e ci fu aperto da una
donna dall’aspetto avanzato negli anni, dalla lunga gonna grigia
appena increspata e con un candido scialle adagiato sulle spalle.
Con fare cortese, tipico delle donne francesi, ci chiese il motivo
della nostra visita e ci fece accomodare in salotto. Nell’attesa
dell’incontro il nostro sguardo, in una lenta panoramica, si
soffermò sul caminetto stile impero ancora spento inserito in pareti
ricamate a damasco color cremisi sulle quali risaltavano vedute di
Napoli ritratte in gouaches, un dagherrotipo nel quale spiccava
l’ingegnere circondato da altri personaggi con sullo sfondo il
Vesuvio e stampe di locomotive. Un lume a petrolio di squisita
fattura in sèvres irradiava la sua calda luce da una
campana in vetro di Boemia artisticamente molato. Un deciso
calpestio sul parquet ci preannunciò l’ingresso
dell’ingegnere.
Alla vista di quel personaggio, avvolto da una pomposa mantella
color verde inglese dal bavero bordeaux, ci alzammo in piedi e
doverosamente ci presentammo stringendogli la mano da lui
austeramente porta. Ci invitò ad accomodarci e ci chiese se
quell’incontro era dovuto ad un nostro interesse per l’acquisto di
azioni della distilleria che, a sua detta, era intenzionato a
costruire sulle rive della Loira. Alla nostra risposta negativa il
Bayard, togliendosi gli occhialini a pince-nez, ci chiese:
- A cosa debbo, allora, la vostra visita, messieurs?
Un poco intimoriti per quel gesto, forse solo dovuto al suo modo di
fare, rispondemmo:
- Siamo venuti da Napoli perché desiderosi di scrivere un libro
sulla ferrovia da Lei costruita nel Regno delle Due Sicilie.
Gli occhi del Bayard allora, ancor vispi nonostante l’età piuttosto
avanzata, brillarono di gioia e, mentre noi sfoderavamo il nostro
taccuino d’appunti, esclamò:
- C’est bien. Sono molto felice di poter rispondere alle vostre
domande su quello che è stato per me un periodo molto attivo della
mia vita. Quel fragore delle forge, dei torni, dei trapani che
acquistai a Manchester da Sir Joseph Whitworth, quei rumori che si
sommavano a rumori sono ormai solo un ricordo nella mia mente. Ma
prego, siate voi a farmi delle domande.
- Monsieur come mai scelse Napoli per la realizzazione del suo
progetto?
- Oh! Non è facile rispondere con poche parole alla vostra
domanda. Dopo aver analizzato attentamente la situazione politica ed
economica dei vari Stati europei che ancora non avevano strade
ferrate, il Regno delle Due Sicilie, ed in particolare Ferdinando II,
mi sembrò il più aperto alle iniziative progressiste. Non a caso
quello Stato aveva tenuto a battesimo la navigazione a vapore.
Inoltre il regno offriva mano d’opera a basso costo e possibilità di
futuri sviluppi della rete sia verso il sud che verso il nord”.
- Per giungere a Parigi abbiamo impiegato poco meno di tre giorni.
Ma circa trent’anni orsono, quando le ferrovie erano agli albori,
come giunse Lei a Napoli?
- Eh bien! Effettivamente il viaggio non era agevole. E quante
volte l’ho dovuto fare. Capirete, mia moglie Marie e mio figlio
erano rimasti in Francia! Quando fui pronto a presentare la mia
proposta ufficiale al Governo di Ferdinando lasciai Parigi, la mia
Parigi, subito dopo il Natale del 1835, accompagnato da mio fratello
Giovanni; dopo due giorni di viaggio in diligenza fino a Marsiglia,
ci imbarcammo per Civitavecchia e di lì proseguimmo di nuovo in
carrozza. Scelsi di raggiungere Napoli attraverso lo Stato
Pontificio per beneficiare di un real rescritto del 12 agosto 1831
che consentiva agli stranieri provenienti appunto da quello Stato di
entrare senza formalità nel Regno delle Due Sicilie. Era il primo
gennaio del 1836. Decidemmo di fissare il nostro domicilio nel
palazzo Sirignano, in vico Trevaccari n. 15, in quanto l’immediata
vicinanza al Palazzo dei Ministeri avrebbe facilitato i nostri
rapporti con il Governo. Ricordo che alle spalle dell’abitazione vi
era un piccolo teatro popolare, mi pare si chiamasse San Carlino.
Gli attori che vi recitavano prendevano spunto per le loro commedie
da fatti d’attualità tant’è che neppure la mia strada ferrata fu
risparmiata da un tale Pasquale Altavilla che ne fece oggetto di due
sue farse.
Diligenza proveniente dal nord ed in arrivo a Napoli (coll. A.
Gamboni).
- Ci risulta che allo scopo di reperire i capitali necessari alla
realizzazione della sua impresa Lei dovette presentare un secondo
bilancio di previsione, e...
- Sì. Purtroppo nel bilancio del 1837 dovetti fare in modo che
risultasse un utile di gestione per i potenziali azionisti dell’8%,
utili non inferiori a quelli ricavati all’estero da analoghi
investimenti. Dovetti pertanto calcolare gli introiti come derivanti
da passeggeri i quali, assurdamente, avrebbero tutti percorso
l’intera linea, diramazione compresa. Purtroppo il 1837 fu un anno
di crisi a livello europeo e fui costretto ad attendere un anno
prima di presentare un nuovo bilancio. Sollecitato dal marchese
Nicola Santangelo, Ministro dell’Interno, concordai di far figurare
un minor incasso per il movimento viaggiatori, un forte incremento
per quello delle merci ed una notevole diminuzione delle spese
generali, mantenendo così costanti gli interessi sui capitali
investiti, il Santangelo, forse, non godeva di eccellente fama a
causa della sua venalità ma era un uomo molto colto ed amante
dell’arte. Fu il mio più grande sostenitore ed a lui debbo molto del
successo della mia impresa.
- Cavaliere, come accettò il popolo napoletano la sua ferrovia?
- Tutto sommato penso che il popolo si adeguò subito, com’è suo
costume, alle strade ferrate rivelando entusiasmo e curiosità cosa
che feci notare, tra l’altro, nell’Assemblea dei Soci del 1840
quando evidenziai che al 31 dicembre del 1839 avevano viaggiato sul
tronco Napoli-Portici ben 131.116 passeggeri. Qualche problema mi
derivò non dal popolo ma dall’incomprensione di alcune autorità dei
paesi attraversati dalla linea. Ricordo a tal proposito l’ottusità
del sindaco di Torre Annunziata il quale, facendosi a suo detto
portavoce della cittadinanza, si oppose alla continuazione dei
lavori per la costruzione, badate a mie spese, di una stradina che
doveva collegare la stazione della città con la prospiciente strada
regia delle Calabrie. La via fu completata per l’intervento
dell’Intendente della Provincia di Napoli, ma rimasi perplesso sul
fatto che si potesse essere governati da gente di così poca
lungimiranza. Con il vostro permesso interrompiamo per un momento la
nostra conversazione per brindare al successo del libro che vi
accingete a scrivere.
Ciò detto, di lì a poco giunse la domestica con un cesellato vassoio
in argento sul quale scintillavano tre raffinati bicchieri di
cristallo che avevano in parte assunto il colore dell’ambra per il
Cognac che contenevano.
- Ci siamo spesso domandati come possa aver fatto la polizia di
Napoli, organo competente, a diramare regolamenti riguardanti il
funzionamento della ferrovia così particolareggiati quando un tal
sistema di trasporto veniva introdotto per la prima volta nella
penisola.
- Oh no! No! In realtà, come mi capitò di fare anche in altre
circostanze, ero io a fornire loro le norme riguardanti il servizio
e la sicurezza della strada ferrata. Io stesso mi ero rifatto ai già
esistenti regolamenti delle strade ferrate belghe. Il Prefetto di
Polizia si limitò ad approvarli, così come aveva fatto per i
bozzetti delle uniformi del mio personale, bozzetti che io stesso
gli avevo sottoposto.
- Ingegnere, il punto più oscuro su tutta la faccenda riguarda gli
utili conseguiti dagli imprenditori. È noto che, in fin dei conti,
non fu un gran successo economico, ma in realtà voi...
- ... In realtà io, i miei fratelli ed il Sig. de Vérgés,
portammo avanti i nostri affari a Napoli per tanti anni perché ne
avevamo convenienza. Le accortenze che praticammo nella
realizzazione del progetto tornarono a nostro vantaggio. Vi ricordo
che la linea risultò leggermente più corta del previsto, che eseguii
una piccola speculazione finanziaria nel rivendere all’inglese Ball
nel 1840 il cantiere di San Giovanni a Teduccio nel quale avevo
fatto costruire le carrozze per i primi convogli, e che infine
riuscii a farmi rimborsare dallo Stato 1.000 ducati per l’esproprio
del terreno e di due piccole casette adibite a biglietteria e
collocate davanti alla stazione di Napoli. Ciò avveniva nel 1842
quando fu sistemata la via dei Fossi. Il discorso potrebbe
continuare ma dovete sapere che un imprenditore o guadagna o lascia
l’impresa. Noi siamo rimasti a Napoli per ben 27 anni!
- Monsieur, noi la ringraziamo per le notizie che ci ha fornito e
le chiediamo un’ultima cosa: potrebbe darci quel dagherrotipo dove
figura Lei circondato da alcune persone?
- Oh no! È quello un caro ricordo di quanti hanno collaborato
alla costruzione ed alla realizzazione della mia strada ferrata.
Pattison, Carabelli, Falcon, Dubois, de Vero, sono lì raffigurati e
non li vedrò mai più. Però vi dico che in un salone del palazzo
reale di Caserta vi è una tela, piuttosto grande, che il re
Ferdinando II commissionò al pittore Salvatore Fergola in occasione
dell’inaugurazione del tratto Napoli-Portici. Ebbene il quadro
riproduce l’avvenimento con dovizia di particolari ed io sono
raffigurato seduto nella vettura reale, quella di colore rosso,
insieme al seguito del re Ferdinando.
La grande tela dipinta da Salvatore Fergola raffigurante
l'arrivo del convoglio inaugurale al Granatello di Portici.
Lasciammo casa Bayard con una grande gioia nel cuore e ci
incamminammo per le strade di Parigi, strade ricche di foglie morte.
Era l’autunno. Esse crepitavano e scricchiolavano sotto i piedi e ad
ogni folata di vento volteggiavano come tante barchette in un valzer
di Strauss. Un battello scivolava lentamente lungo la Senna mentre
noi pensavamo al brindisi augurale del Cavalier Bayard.
|
Esso ci fu di
buon auspicio: il nostro libro andò alle stampe dopo... qualche
anno!
(articolo tratto da: ClamFerrovia - n.
40 luglio 1989)
|
|