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a cura di Antonio Gamboni | ||
Il treno, fin dal principio, è stato oggetto di interesse per le arti figurative e per la letteratura della quale ne sono validi esempi le poesie dedicate al ‘mostro corrusco e fumido’ di carducciana memoria ed i ‘sonetti sulla strada ferrata’ del castigato autore di ‘Cuore’. Sul finire dell’800, fecero la loro apparizione le pubblicazioni settimanali dei periodici illustrati e con esse anche i giornalini dedicati ai ragazzi. Come esempio, si propone uno stralcio tratto da “Il giornalino di Gian Burrasca” del notissimo Vamba, pseudonimo di Luigi Bertelli fondatore nel 1906 de “Il Giornalino della Domenica”. Sulle pagine di questo periodico, nel biennio 1907-08, fu pubblicato in 55 puntate “Il Giornalino di Gian Burrasca”, personaggio reso popolare da una fortunata serie televisiva trasmessa negli anni 1964/65 dalla RAI con un vivace Giannino interpretato dalla dinamica Rita Pavone. Tornando al Vamba, nelle diverse puntate, finge di aver curato la pubblicazione di un diario compilato dal piccolo Giannino Stoppani, un fanciullo di otto anni compiuti denominato Gian Burrasca per la sua ‘vivacità’. Tutte le annotazioni sono divise in giornate anziché in capitoli. Il testo, benché annotato con espressioni elementari e ripetizioni, costituisce un documento interessante perché riesce a riprodurre il clima e la realtà ferroviaria dei primi anni del Novecento. Nel 1912, le avventure di Gian Burrasca, con un testo ‘rivisto, corretto e completato’, saranno raccolte in volume.
Numero de “Il Giornalino della Domenica” nel quale iniziò la pubblicazione de “Il Giornalino di Gian Burrasca” e, a lato, una delle prime pubblicazioni del libro (da siti web). Riportiamo di seguito la parte finale della giornata 16 ottobre e del successivo 17, dove si legge della fuga in treno di Giannino per raggiungere la casa della zia Bettina. Scrive il bricconcello: “16 ottobre:...Perciò mi è venuto l’idea di scappare in campagna, dalla zia Bettina, dove sono stato un’altra volta. Il treno parte alle sei, e di qui alla stazione in mezz’ora ci si va benissimo. Sono bell’e pronto per la fuga: ho fatto un involto mettendovi due paia di calze e una camicia per cambiarmi.... In casa tutto è silenzio, ora scenderò pian piano le scale, e via in campagna, all’aria aperta... Viva la libertà!... 17 ottobre: La zia Bettina non s’è ancora alzata, e io approfitto di questo momento per registrare l’avventura accadutami ieri, e che meriterebbe proprio di esser descritta dalla penna di un Salgari. Iermattina, dunque, mentre tutti dormivano, fuggii da casa come avevo stabilito, dirigendomi verso la stazione. … Non avendo quattrini per prendere il treno e non conoscendo la strada provinciale per andarvi, mi proponevo di entrare nella stazione, aspettare il treno col quale ero andato l’altra volta dalla zia Bettina, e dirigermi per la strada, lungo la ferrovia, seguendo le rotaie, fino al paese nel quale è la villa Elisabetta dove sta appunto la zia. Così non c’era pericolo di sbagliare, e io, ricordandomi che ad andarci col treno ci si mette tre ore o poco più, mi proponevo di arrivarci prima di sera. Giunto dunque alla stazione, presi il biglietto d’ingresso ed entrai. Il treno arrivò poco dopo, ed io, per evitare il caso di esser visto da qualche persona di conoscenza, mi diressi verso gli ultimi vagoni per attraversare la linea e andare dalla parte opposta alla stazione. Ma invece mi fermai dinanzi all’ultimo vagone che era un carro per bestiame, vuoto, e che aveva la garetta dove sta il frenatore, vuota anch’essa. - Se montassi lassù? - Fu un lampo. Assicuratomi con un’occhiata che nessuno badava a me, saltai sulla scaletta di ferro, mi arrampicai su, e mi misi seduto nella garetta, col ferro del freno fra le gambe, e le braccia appoggiate sul manubrio del freno.
Il treno disegnato da Gian Burrasca a corredo del suo diario (da sito web).
…Pensavo che in quel treno nel quale viaggiava tanta gente ero isolato e ignorato da tutti. Nessuno, né parenti, né estranei, sapeva che io ero lì, sospeso in aria in mezzo a cosi tremenda tempesta, sfidando così gravi pericoli. E pensavo anche che aveva molto ragione il babbo quando diceva roba da chiodi del servizio ferroviario e delle condizioni scandalose nelle quali si trova il materiale. Io ne avevo lì una prova evidente nel finestrino della garetta dal quale, essendo rotto il vetro come ho detto prima, entrava vento e pioggia, facendomi gelare la parte destra della faccia che vi si trovava di fronte, mentre mi sentivo la parte sinistra infocata in modo che mi pareva d’esser mezzo ponce e mezzo sorbetto, e ripensavo malinconicamente alla festa da ballo della sera precedente, che era stata la causa di tanti guai.
Tipo di carro chiuso della Rete Adriatica con garitta frenatore come quella disegnata da Giannino; questo tipo di alloggiamento consentiva al frenatore di osservare sia la testa che la coda del convoglio. (foto coll. A. Gamboni) E il peggio fu quando incominciarono le gallerie! Il fumo lanciato dalla macchina si addensava sotto la volta del tunnel, e dal finestrino rotto invadeva la mia angustia garetta, impedendomi il respiro. Mi pareva d’essere in un bagno a vapore, dal quale poi, quando il treno usciva dal tunnel, passavo a un tratto al bagno freddo della pioggia. In un tunnel più lungo degli altri credetti di morire asfissiato. Il fumo caldo mi avvolgeva tutto, avevo gli occhi che mi bruciavano per la polvere di carbone che entrava col fumo nella garetta e che mi accecava, e per quanto mi facessi coraggio sentivo che le forze stavano per abbandonarmi. In quel momento l’animo mio fu vinto da quella cupa disperazione che in certe avventure provano gli eroi più valorosi come Robinson Crusoè, i Cacciatori di capigliature e tanti altri. Ormai per me (così mi pareva) la vita era finita e volendo che almeno rimanessero, come esempio, le ultime parole di un ragazzo infelice condannato a morire di soffocazione in un treno, nel fiore degli anni, scrissi nel giornalino con uno zolfino spento che avevo trovato nel sedile della garetta, le parole della pagina 19… … Fortunatamente di lì a poco il treno si fermò, e sentii gridare il nome del paese al quale ero diretto. Io volli scendere alla svelta giù per la scaletta di ferro, ma mi tremavano le gambe, e all’ultimo scalino inciampai e caddi in ginocchio. Subito mi vennero intorno due facchini e un impiegato, che mi raccolsero, e guardandomi con tanto d’occhi, mi domandarono come mai mi trovavo lassù sulla garetta. Io risposi che vi ero salito in quel momento, ma loro mi portarono nell’ufficio del capostazione, il quale mi messe dinanzi uno specchietto dicendomi: - Ah, ci sei salito ora, eh? E codesto muso da spazzacamino quando te lo sei fatto? - Io nel vedermi nello specchio rimasi senza fiato. Non mi riconoscevo più. La polvere di carbone, col fumo, durante il mio disastroso viaggio, mi era penetrata nella pelle della faccia alterando i miei connotati per modo che parevo un vero e proprio abissino. Non dico niente poi degli abiti, ridotti addirittura a brandelli, e sporchi anch’essi come la faccia. Fui costretto a dire da dove venivo e dove andavo. - Ah! - disse il capostazione. - Vai dalla signora Bettina Stoppani? Allora pagherà lei per te. - E disse all’impiegato: - Faccia un verbale di contravvenzione computandogli tre biglietti di terza classe e la trasgressione per aver viaggiato in una garetta riservata al personale! - Io avrei voluto rispondere che questa era una ladroneria bella e buona. Come! Mentre le ferrovie avrebbero dovuto per giustizia rifare un tanto a me che mi ero adattato a viaggiare peggio delle bestie, che almeno viaggiano al coperto, mi si faceva invece pagare per tre? Ma siccome mi sentivo male, mi contentai di dire: - Almeno, giacché il viaggiare nelle garette costa così caro, procurino che ci siano i finestrini col vetro! - Non l’avessi mai detto! Il capostazione mandò subito un facchino a verificare la garetta dove avevo viaggiato e, saputo che non c’era il vetro, mi fece aumentare la contravvenzione di ottanta centesimi come se l’avessi rotto io! Mi accorsi una volta di più che il mio babbo aveva ragione a dir corna del servizio ferroviario, e non dissi altro per paura che mi avessero a metter nel conto anche il ritardo del treno, e magari qualche guasto della locomotiva. Così, accompagnato dall’impiegato, mi avviai verso la villa Elisabetta, e non vi so dire come rimase la zia Bettina quando si vide capitar dinanzi uno straccione così sudicio com’ero io e, peggio ancora, un conto da pagare di sedici lire e venti, e più la mancia all’impiegato che glielo portava!
CONSIDERAZIONI Il Vamba, pur se con un semplice disegno, ha distinto le due carrozze passeggeri segnando sotto i finestrini tre archetti per indicare le porte, ciò che non ha fatto sul carro merci; infine ha ben posizionato la garitta in fondo al convoglio. Poiché il disegno mostra carrozze viaggiatori ed un carro per bestiame, si evince che Giannino abbia viaggiato con un ‘treno misto’. Infine apprendiamo che il Gian Burrasca acquista il biglietto per entrare nella stazione, una disposizione che si è protratta nel tempo come mostrano le sottostanti immagini.
Biglietti di entrata nelle stazioni di Napoli Centrale (1934) e Napoli P. G. (1940) (coll. V. Simonetti). Passiamo, quindi, a fare un po’ di conti sulla somma da pagare che, secondo le odierne tabelle di conversione, oggi le 16,20 lire sarebbero equivalenti a circa 45,40 euro. Consultando un Orario Ferroviario del 1907 e tenendo presente che un ‘misto’ viaggiava in media a 25 km/h, Giannino in tre ore ha percorso circa 75 chilometri. Alla luce di questo dato, consultiamo la sottostante tabella tratta dall’Orario del 1907.
Tariffe per il trasporto dei viaggiatori con evidenziata quella relativa ad un percorso di km 75. Secondo il tariffario, l’ammontare del triplo della tariffa di 3a classe è pari a L. 3,95 x 3 = L. 11,85 che, aggiungendo gli 80 centesimi per il vetro rotto, diviene L. 12,65. Quanto manca per raggiungere la cifra pagata dalla zia Bettina potrebbe essere la multa per aver viaggiato in una garetta riservata al personale!
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