Il Tram Mater 5025
STEFER in H0
Taglio Laser: alternativa economica alla fotoincisione?
Testo e foto di Raffaele Ciotti
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Fin da bambino sono sempre stato affascinato da
questo modello di tram che all’ epoca faceva parte della società
Atac di Roma. Le vetture di
questa serie erano costituite da tre parti raggiungendo la lunghezza
ragguardevole di metri 20 circa. Faceva servizio anche sulla linea
“13” (Largo Preneste – Monteverde Nuovo) e, abitando a pochi metri
dal suo capolinea (a Monteverde allora non c’era neanche P.zza S.
Giovanni di Dio), mi piaceva vederlo sfiorare un angolo di un muro
perché si doveva allargare per fare l’ “anello” e tornare indietro.
Volevo riprodurre in H0 questo pezzo della mia
infanzia, ma complice un errore di misura che non permetteva la
motorizzazione del carrello, ho ripiegato (momentaneamente) sulla
costruzione del tram 5025 passato alla STEFER, una Società che, come
forse il lettore saprà, condivideva con l’ATAC, l’impegno dei
servizi tramviari della capitale.
Il modello è stato costruito seguendo le misure
generali di un figurino tratto dal libro “I tram di Roma” del
compianto Ing Muscolino e traendo le altre misure da innumerevoli
foto.
Ho disegnato al CAD tutti i pezzi necessari in
ottone da 0,3 per le casse e i piccoli particolari, da 0,5 mm per i
carrelli e ottone da 1 mm per i pianali; li ho consegnati ad una
ditta di taglio Laser.
Tutte le parti del modello come si presentano già tagliate
con raggio LASER.
Ho quindi iniziato l’assemblaggio preparando i
carrelli e saldando i vari componenti delle semicasse che
ho dovuto tagliare con cesoie perché gli angoli di piegatura erano
troppo vicini ai montanti, sia delle porte che dei finestrini, per
cui non si poteva avere la piegatura centrata in essi.
Ho stampato i profili dei pianali e, dopo averli
incollati su una bacchetta in legno, li ho sagomati e verniciati in
grigio chiaro. Successivamente ho montato una veletta in ottone su
ogni lato verso i mantici, in modo da avere una parte del tettino
vuoto per accogliere i mantici ed i loro spostamenti in curva. Ho
quindi stuccato (male) e riverniciato il tutto.
Carrello montato con lamelle prendicorrente e tettucci con
velette.
Ho poi saldato tutti i vari particolari, compresi
i paraurti anteriore e posteriore, per ottenere un modello
abbastanza simile al reale. Ho, quindi, preparato i vetri con le manopole per l’azionamento
riportandole su acetato trasparente con una stampante Laser.
Semicassa montata.
Foglio di acetato stampato con il disegno dei
vetri.
I vari particolari minuti sono stati costruiti
assemblando più parti per ottenere l’ effetto più
realistico possibile.
Per irrobustire il tutto ed avere l’ancoraggio per
i tetti, sono state saldate delle traverse sulle semicasse (due
ognuna) con un foro centrale filettato.
Ho poi approntato le porte, verniciandole e
successivamente dotandole dei trasparenti e delle righe ad
imitazione dei settori e della gomma centrale.
Dopo la mascheratura con scotch da carrozziere, ho
verniciato nei due colori bianco panna e blu le tre unità.
Purtroppo nella mia città (Arezzo) non esiste un
negozio di modellismo per cui la verniciatura è stata effettuata
senza primer di fondo e con bombolette di vernice acrilica (molto
difficile da dosare).
Particolari:
gancio/respingente e fanalini di coda.
Ho poi preparato le fiancate dei carrelli con
particolari di fusione facilmente reperibili (balestre e serbatoi
dell’aria), verniciando il tutto in grigio antracite,
dopodiché ho incollato i vetri, le porte ed i fanali.
Ho avvitato i carrelli in posizione ed ho
ritoccato la vernice dove serviva, ho applicato due mantici
incollandoli solo nell’ elemento intermedio e con dei
vecchi trasferibili che avevo da anni (un po’ grandi, per la verità,
ma non si trovano più in commercio) i numeri di serie e la scritta STEFER proteggendole poi con vernice trasparente.
Particolari del tram finito: fiancata con carrello e parte
centrale con mantici.
Tre viste del modello di cui l'ultima con il pantografo
montato.
La collocazione del pantografo di tipo ferroviario
(acquistato già pronto) ed il suo supporto hanno completato l’opera.
Dunque, non mi è restato che avviare il mio modello di Mater
verso la vetrina.
PICCOLA
STORIA DELLE MATER
NELLA
REALTA’
di
Gennaro Fiorentino
La serie dei tram
a tre elementi (di cui quello
centrale sospeso) di costruzione
Mater, detta semplicemente Mater per
antonomasia, appartiene al tipo di
vettura universalmente chiamato due
camere e cucina. Anzi ne esiste
anche una traduzione in inglese “two
rooms and a bath” ed in tedesco
“zwei
Zimmer und Kuche”. Essa fu
commissionata dall’ATAG (l’azienda
di trasporto pubblico della
capitale: poi ATAC) in 50 esemplari
alle officine Mater che avrebbero
dovuto utilizzare a tal fine,
materiale già in servizio. Correva
l’anno 1936 e la vigente
“autarchia” imponeva di fare
qualunque sforzo per risparmiare
sulle materie prime, riciclando,
come diremmo oggi, ciò che già si
aveva in casa.
Il progetto, peraltro ispirato ad analoghe
realizzazioni di altre città
italiane, si avvaleva dell’utilizzo
di motrici e rimorchi ad otto
finestrini. Questi elementi venivano
rispettivamente privati della
piattaforma anteriore o posteriore.
Tra le due semicasse, così ottenute,
veniva inserito un modulo “ad
hoc” servito da una porta di
grandezza standard e da due
finestrini oblunghi (quattro
finestrini standard dal lato
dell’interbinario). I tre elementi
erano collegati da due mantici.
La serie fu
numerata da 5001 a 5099; ma si badi
che secondo l’uso di tale azienda di
trasporto, i numeri utilizzati erano
solo i dispari in quanto i pari
destinati ai rimorchi.
Il nuovo tram,
usando un linguaggio
cinematografico, riscosse notevole
successo di pubblico ma non di
critica. Infatti destinato ad
espletare linee di forza della rete
urbana fu apprezzato per la sua
notevole capacità e velocità in
incarrozzamento, ma continuò a
portare i tipici difetti delle
vetture a due assi. Tra l’altro la
semicassa posteriore tendeva ad
adagiarsi verso l’elemento centrale.
Immagine
tratta dal film “Il ferroviere” dove
si nota l’inclinazione della cassa
posteriore verso l’elemento
centrale. La foto è leggermente
mossa essendo stata prelevata da un
“frame”.
D’altro canto la
possibilità che un treno di quasi 20
metri, potesse essere assistito da
sole due persone
(bigliettaio e conducente)
con immaginabile risparmio di
risorse umane, apparve un elemento
convincente per assicurare alla
serie una vita lunga ed intensa.
Così anche dopo la guerra, ossia
quando vennero rimosse quelle ristrettezze
economiche ed umane che ne avevano
ispirato il geniale progetto, le
Mater continuarono ad effettuare il
loro lavoro apprezzato dall’utenza.
Ciò accadde fino all’anno 1966
(ossia dopo 30 anni di vita) quando
incominciò
la loro sistematica dismissione.
Ma non tutto era
perduto. Infatti sei di loro furono
trasferite, proprio in quell’anno,
per rinforzare la flotta della
Stefer che espletava, tra l’altro,
il
collegamento con Cinecittà. Ci volle
poco per adattare le Mater a quella
rete: una riverniciatura in bicolore
(secondo la livrea sociale del nuovo
proprietario) e l’installazione di
un pantografo (retto da un
castelletto per sollevarne la
presa). Quest’ultimo adattamento fu
richiesto dal retaggio della
presenza una volta di vetture a due
piani e pertanto di una rete aerea
un po’ più tra le nuvole.
Una rara
foto mostra una vettura in servizio
sulla linea di forza 23
presso la Basilica
di San Paolo-Quartiere Trionfale
(coll. G. Fiorentino).
La vettura 5029 in transito in
zona Colosseo negli anni ’60
mentre
espleta la linea 13 di cui si parla
nell’articolo modellistico
(coll. G. Fiorentino).
Il modello
eseguito
dal nostro socio
riproduce
appunto la vettura 5025, una di
quelle passate alla compagnia dei
Castelli.
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