Testo e foto di Ennio Castelletti

 

chiudi la pagina

 

Me lo dicono tutti: “non sei cresciuto, sei un inguaribile bambino” e sicuramente è vero. Lo sono come forse tanti appassionati di modellismo e giocattoli d’epoca che vanno in sollucchero di fronte ad un giocattolo che ricorda romanticamente l’infanzia.

Non so come spiegarlo, ma i modelli d’epoca della Rivarossi, così come alcuni giocattoli della mia infanzia che ho recuperato nei mercatini o che sono riuscito a conservare, destano in me una sensazione di affetto, come se vadano protetti e coccolati.

È vero, sono un settantenne col cuore di un dodicenne, età che avevo quando mio padre acquistò il primo trenino Rivarossi per iniziare la costruzione di un plastico inculcando in me, allora indifeso ragazzino, il bacillo del modellismo ferroviario.

Il contagio fu così repentino che solo qualche anno dopo applicavo le mie prime esperienze costruendo un E 428 di prima serie di discreta fattura, realizzazione ritenuta da “Rivarossi” degna di pubblicazione tanto da illustrare il mio modello nel n. 39 di “H0 Rivarossi”,  alla rubrica: “i nostri lettori all’opera”.

Con queste premesse, la passione che ha portato ad interessarmi di tutto quello che riguarda il mondo delle ferrovie italiane dagli anni '50, compresi alcuni cimeli ferroviari, è stata la molla che mi ha condotto a conservare, raccogliere, elaborare e costruire ex novo modelli in scala H0 delle FS e di alcune ferrovie concesse, nonché prototipi ed esemplari unici.

Potrete comprendere perché, quando ho visto su un banco della mostra scambio organizzata a Salerno dal gruppo 835-114 un derelitto E 626 serie verde RR, che nessuno prendeva in considerazione né degnava di uno sguardo, non ho potuto esimermi dall’acquistarlo, in uno slancio di pura emozione per un pezzo a me caro e che quindi ritengo vada salvaguardato riservandogli tutta l’assistenza e le operazioni di recupero di cui necessitava.

Sono stato avvertito dal venditore, che ringrazio pubblicamente per avermelo ceduto, che il pezzo era privo del gruppo motore, pur essendo presente il castello di supporto in bachelite con le ruote folli. In quel momento ho ricordato che fra i miei “ricambi d’epoca”, che custodisco gelosamente, dovevo avere qualche rotore adatto alla rigenerazione di quel motore.

Non so descrivere la gioia del momento in cui sono venuto in possesso di quel modello ed ho potuto carezzarlo ed ammirarlo! Ha le ruote dei carrelli di guida in plastica grigia con le vele a raggi dipinte in rosso, i ganci formati da una barretta con un foro per l’aggancio alle vetture ed i pantografi rigidi: è di una bellezza sconvolgente nella sua veste modellistica molto semplificata.

 

 

Il modello Rivarossi E 626 V con il motore smontato e "ricambi d'epoca".

Al centro, un motore senza massello magnetico per funzionamento in c.c. e, a lato, un'espansione polare con bobina per funzionamento in c.a.

 

 

Ricordo - per inciso - che in quegli anni la precisione modellistica era molto approssimativa, anche se la Rivarossi, sovvertendo le tecniche dell’epoca, sperimentò le stampate in bachelite riuscendo a riprodurre particolari che precedentemente non potevano essere evidenziati.

L’ansia di descrivere le sensazioni di gioia per aver acquisito un modello così particolare mi ha fatto allontanare, con voli pindarici, dal tema del restauro che era all’origine della presente dissertazione; passo quindi a descrivere le sequenze degli interventi.

Come già specificato, questo modello ha i pantografi fissi in filo metallico rigido con gli striscianti sagomati a mo’ di banana, purtroppo uno di essi era rotto. Ho quindi trovato un filo di ferro acciaioso di pari diametro ed ho ricostruito l’archetto sagomandolo e saldandolo nella sua sede. Ho provveduto poi a ripulire con olio disossidante le basette dei pantografi liberandoli dalle infiorescenze di verderame formatasi negli anni. Con lo stesso metodo ho ripulito anche tutte le viti e le strutture interne in metallo dei carrelli porta-assi. Ho poi tremato al pensiero che i rotori del motore in mio possesso non potessero adattarsi a quella serie, ma con sommo gaudio uno dei tre era perfetto sia nell’asse che nell’ingranaggio per sostituire quello mancante.

Ma, ahimè, l’ingranaggio di una ruota motrice girava a vuoto sull’asse! Mal di poco; tolto l’asse dal castello motore sono riuscito a risolvere il problema con una provvidenziale goccia di “cianoacrilico”.

Restava da provare il funzionamento del motore: erano presenti le boccole portaspazzole ma mancavano sia le spazzole (quelle tipiche formate una da un cilindretto di rete di ottone arrotolata e l’altra in pasta di carbone), sia le mollette di spinta delle stesse. Rovistando nella mia scatola delle meraviglie, ove c’è di tutto, son saltate fuori due spazzole e due mollette. Le monto velocemente col cuore che batte a mille. Do corrente, ma nulla. Ho perso la sfida, penso, ma vedo sul banco di lavoro il flacone di  riattivante per contatti elettrici; allora una spruzzata sul motore e sugli assi e di nuovo corrente: qualche singhiozzo, un sussulto, un po’ di fumo per l’olio che brucia sulle spazzole e finalmente via! Ora gira gagliardo come quando fu collaudato dal tecnico addetto della Rivarossi nello stabilimento di via Conciliazione 74, Como!

 

 

Il momento della verità! Qualche capriccio, e poi tutto va bene.

 

 

Qualche giro sul plastico per farlo sgranchire con un doveroso rodaggio. Finalmente il mio 626 serie verde è nella bacheca al posto d’onore di fianco al 626 serie rossa, che differisce per essere una versione più rifinita: infatti la serie verde non è verniciata in bruno-isabella ma è di colore marrone tipico della bachelite e tetto in argento; i pantografi sono rigidi e non funzionanti, i ganci sono fissi e non automatici, le ruote dei carrelli in plastica, i respingenti fissi e mancano corrimani ed illuminazione.

 

 

Qualche giro di prova sul plastico, ed il collaudo è superato.

 

L’E 626 serie verde era commercializzato nella confezione “I 626 V” (impianto con 626 verde) comprendente, oltre al locomotore, una carrozza tipo centoporte a due assi in bachelite con pigmento color verde cupo non verniciata (nel parco rotabili FS queste carrozze non esistevano, essendo invece a tre assi), un bagagliaio con uguali caratteristiche, nonché un cerchio di binari molto semplificati dal diametro di 75 cm. Nel catalogo ’52 è specificato il peso della confezione in cartoncino in gr. 980 ed il prezzo di vendita nel volantino allegato di £ ….         

Questa confezione, purtroppo persa negli anni, rappresenta la mia infanzia, il primo gradino di accesso al modellismo dopo il trenino a molla Märklin in scala “0” che possedevo dall’età di 5 anni; sono forse ancora un bambino od un inguaribile nostalgico?

Io sono solo Trennio……….

 

 

..... e questi alcuni dei miei modelli. In alto a sinistra l'elaborazione del 428 pubblicata sul n. 39 di "H0 Rivarossi".

 

 

chiudi la pagina