Scheda di
Carlo Costamagna
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Il
Settebello, prodotto a partire circa dal 1959 e proseguito per buona
parte degli anni ‘60,
ebbe un grande successo commerciale.
In virtù
delle due versioni (per corrente continua e per corrente alternata),
fu molto apprezzato anche dagli appassionati di altre produzioni e
persino all’estero,
nonostante il relativo grado di somiglianza
al
reale.
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Settebello di serie in C/C.
Rappresenta
l’ETR300 ma realizzato in configurazione ridotta di soli tre
elementi. Questo esemplare
è del tipo più diffuso con alimentazione in corrente continua. La
riduzione minima a due testate motrici con un solo elemento
intermedio fu dettata sostanzialmente da due ragioni: contenimento
del costo e praticità d’impiego nei circuiti domestici
(foto del titolo).
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Settebello di serie in C/A.
Adatto a circolare
su impianti tipo Marklin. I carrelli delle testate erano dotati del
normale motore in corrente continua alimentato con corrente
raddrizzata attraverso una colonna al selenio allocata nell’elemento
centrale. I carrelli folli erano provvisti di pattino tipo Marklin
per circuiti in C/A. L’inversione avveniva mediante relais anch’esso
posto nella carrozza intermedia. Inoltre si distingueva dal gemello
in C /C per i falsi isolatori sul tetto centrale e la sporgente
levetta per lo scatto manuale del relais.
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Settebello in configurazione reale.
Assente dai
cataloghi, fu prodotto fuori serie in quantità molto ridotta. Va però
precisato che all’indomani della cessazione della produzione dei
treni Conti, quando per alcuni anni restarono disponibili sul
mercato discreti quantitativi di materiali a prezzi molto
vantaggiosi, qualche
appassionato più
intraprendente provvide personalmente ad assemblare Arlecchini e
Settebelli in configurazione reale.
Distinguere uno di questi treni
da uno prodotto in fabbrica non è così semplice L’elemento centrale
del Settebello di serie
portava sul tetto entrambi i pantografi i
quali, invece, tanto per il modello in
configurazione reale che per
l’Arlecchino
si trovano uno per ciascuna
carrozza adiacente alle motrici. Teoricamente i pochissimi prodotti
in fabbrica utilizzavano casse intermedie con tetto sprovvisto dei
fori con rilievo per l’attacco dei pantografi. Tuttavia questo
particolare non è decisivo né in un senso né nell’altro. Infatti già
all’epoca erano disponibili come parti staccate le carrozze
intermedie “lisce” e addirittura si sono visti esemplari in
configurazione reale certamente e indiscutibilmente di fabbrica
(come questo fotografato sopra) costituiti da carrozze intermedie
normali, provviste dei fori chiusi con rivetti (gli stessi
utilizzati per la macchina 4001)!
Anche
per quanto concerne le confezioni di questo treno non esiste una
regola: tubi di cartone, scatole di legno, e anche scatole di
cartone contenenti il treno scomposto nei singoli moduli.
Questo
pezzo
è ritenuto il più raro della produzione Conti,
ma è più corretto definirlo uno dei più
rari.
Infatti notizie approssimate ma
attendibili indicano in due o tre decine gli esemplari usciti di
fabbrica ai quali devono essere aggiunti gli autocostruiti
(difficilmente distinguibili). Attualmente ne sono censiti almeno
una decina di noti, cioè non meno, anzi forse di più di quanti siano
gli esemplari noti degli altri elettrotreni Conti: ETR212 e ETR330
che però erano a catalogo.
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Arlecchino.
Assente dai
cataloghi, fu prodotto fuori serie in quantità
limitate. Il modello rappresenta 1’ETR250 in configurazione reale di
quattro elementi.
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Elemento intermedio C/C.
In evidenza i
supporti per lampadine a siluro per illuminazione interna e il diodo
al selenio per ottenere l’illuminazione rossa o bianca (a seconda
del senso di marcia) dei fanali delle testate.
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Elemento intermedio C/A.
In evidenza il
relais per l’inversione automatica e il raddrizzatore a colonna al
selenio per l’alimentazione dei motori che erano comunque del tipo a
corrente continua. I portalampade a siluro per illuminazione
interna, in questo caso, sono ancorati al tetto della cassa mediante
viti interne e da due falsi isolatori posti esternamente con
funzione di dado e assenti nella versione m C/C.
Gli
elementi intermedi erano realizzati completamente in alluminio, per
cui il telaio non ha mai problemi di corruzione del metallo.
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Muso
e
carrello
motore.
Il complesso dei
particolari esterni del carrello, sospensioni ecc, era realizzati
in fragile fusione di zama. I respingenti erano di norma molleggiati
ed il carrello motore era sospeso ad una staffa fissata sul telaio.
Casse delle testate.
Il corpo superiore
era in alluminio e fissato con viti al telaio pressofuso in pesante
zama. Si osservano due piccole varianti per i telai difficilmente
ordinabili in modo temporale: in una la staffa che fissa il cartello
motore è avvitata al telaio stesso, quindi le teste delle viti si
trovano all’interno del treno mentre nell’altra le viti sono
passanti e le teste sono visibili esternamente sul sottocassa.
L’interno di una delle guance
è provvisto di un incavo in corrispondenza dei portaspazzole del
carrello. Ne consegue che, a regola, le testale non sono
intercambiabili ma destre e sinistre.
Illuminazione.
Tutti i treni erano provvisti di illuminazione delle carrozze a
mezzo di lampadine a siluro (2 per elemento) con supporti fissati ai
telai o al tetto. Per l’illuminazione dei fari delle testate occorre
distinguere due casi. Inizialmente i treni erano dotati di un
sistema automatico di illuminazione a luce bianca nel senso di
marcia e rossa in coda. Tale sistema si avvaleva, per ogni testata
di un blocco di resina riflettente, inserita nei fari, che ospitava
una lampadina a luce bianca e una a luce rossa che si illuminavano
alternativamente per mezzo di un semplice circuito elettrico che
sfruttava il senso della corrente. Successivamente, forse per
contenere i costi, molti treni vennero dotati del normale sistema
con semplici lampadine a luce bianca in entrambe le testate. Questa
semplificazione, oltre a privare il treno di un elemento di pregio,
causava il maggiore interessamento dei telai all’attraversamento
della corrente continua, con conseguente maggior rischio di
innescare il fenomeno di disgregazione della zama. In ogni caso si
trovano treni con entrambi i sistemi, anche tra le ultime
produzioni.
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Sottocassa C/C e C/A.
Nell’immagine in alto il carrello folle di un treno in C/C con
piccolo pattino laterale che scomparirà
nelle ultime produzioni. Nell’immagine in basso un treno attrezzato
per C/A con pattino di fase tipo Marklin. Notare, a sinistra, il
dispositivo per selezionare 1’alimentazione dai pantografi invece
che dalle rotaie.
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Torre intermodulare con carrello
folle.
Realizzata sfruttando la soluzione adottata da altri produttori
stranieri, è fusa in zama e presenta particolare fragilità in
corrispondenza delle testate di alloggiamento delle viti di
connessione con i moduli. Tali fessure, in abbinamento con le
suddette viti a testa larga, realizzano contemporaneamente l’unione
e l’articolazione dei moduli. Quando occorre sollevare il treno,
bisogna farlo con estrema perizia, evitando di caricare peso sulle
connessioni che altrimenti rischiano di spezzarsi. La torre di
sinistra appartiene a un treno in C/A infatti è provvista di fori
per le viti di fissaggio del pattino tipo Marklin. Nella versione
per C/C il piccolo strisciante (visibile nella foto in alto a
sinistra) era fissato al carrello attraverso rivetti e un isolante
plastico; nelle ultimissime produzioni era del tutto assente in
quanto il contatto avveniva direttamente ai carrelli motore.
Gli
assali erano come sempre sospesi a viti con incavo conico che
permettevano la registrazione della scorrevolezza.
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Variante delle ultime produzioni C/C.
Carrello motore
come l’automotrice 444 Belvedere provvisto di pattino strisciante.
Per conseguenza, questi ultimi esemplari di treni prodotti negli
anni ‘60 avevano i carrelli folli del tutto privi di pattini.
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Articolazione sperimentate.
Studi per
articolazione intermodulare con soffietto tipo gli ETR212 ed
ETR.330, poi abbandonato.
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Le confezioni.
La confezione più costosa conteneva il
treno ed i binari per un circuito con dodici
curve e dieci rettilinei e costava, nel 1959,
Lire
23.500 cioè
gran parte di uno stipendio dell’epoca.
Poi vi era la confezione classica con il solo treno.
Anche queste
confezioni, nel periodo Cicchetti, erano realizzate con scatole
azzurre e gialle.
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Importanti crepe di zama nel muso.
In zama erano fusi
i telai delle casse delle testate, mentre le carrozze intermedie
erano in alluminio. Il muso con 1’amplissimo alloggiamento per il
carrello motore, collegato al resto del corpo piano dalle sole
guance laterali, costituiva un problema per il processo di fusione.
Anche la linea del muso e delle guance, dalle misure
proporzionalmente troppo abbondanti rispetto al reale, era frutto
della necessità
di accompagnare con un maggiore spessore il fragile punto di
collegamento al corpo piano.
Questa fusione, se realizzata in normale
alluminio, avrebbe procurato basse rese a causa dell’alto numero
di
pezzi imperfetti. La scelta della zama,
peraltro diffusissima all’epoca presso tutti
i
produttori di giocattoli, era quindi la
soluzione più semplice.
Il
fenomeno dell’alterazione della zama era già
noto, ma ritenuto (non a torto) trascurabile in relazione al
prevedibile tempo di uso dell'oggetto il quale - pur di lusso -
restava comunque un giocattolo. Purtroppo, la gran parte dei pezzi
giunti fino a noi, quale più, quale meno, presentano i segni del
processo elettrochimico che trasforma parte degli elementi originari
della fusione con prodotti di scarto, che avendo maggior volume,
sono i responsabili di crepe, fratture, deformazioni e peggio ...
Alcuni esemplari però restano sostanzialmente integri, ciò è dovuto
alla occasionale migliore qualità della fusione e alla ottimale
conservazione: poca luce diretta, poche escursioni climatiche, poche
sollecitazioni meccaniche e soprattutto niente circolazione; infatti
la corrente continua è un temibile innesco. In realtà la zama
pressofusa, se si osservano in modo scrupoloso tutte le corrette
condizioni necessarie, presenta caratteristiche di notevole qualità,
robustezza e durata, ma se le fusioni (come spessissimo accedeva)
erano “sporche”, cioè con presenza di piombo o con riciclo di
scarti, allora il decadimento è assolutamente probabile.
Il
treno di cui una testata
è riportata nell’immagine a sinistra, presenta la testata opposta in
condizioni assolutamente perfette. Difficile quindi individuare una
causa-effetto, giacché è lecito supporre che tutto il treno sia
stato nel tempo sottoposto allo stesso trattamento mentre le crepe
ora evidentissime e maturate nell’arco di più di quindici anni,
hanno colpito solo una delle due testate.
Alterazioni superficiali di minima entità.
Questo tipo
di veniale alterazione è presente anche
in gran parte degli esemplari meglio
conservati.
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