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di Giuseppe De Palma |
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La maggior parte degli autori, che si sono
occupati della storia della macchina a vapore, fanno
risalire questa invenzione all’antichità ad Erone di
Alessandria, chiamato anche Erone il Vecchio, filosofo e
inventore greco vissuto nel I secolo d.C.. Egli realizzò un
dispositivo che descrisse nel suo trattato sulla pneumatica:
la eolipila. Tale congegno, che sfruttava la forza del
vapore, permetteva di aprire le porte del tempio di Serapide
ad Alessandria quando il sacerdote accendeva il sacro fuoco
e può essere considerata uno dei primi esempi di macchina a
vapore della storia. Altri studiosi, invece, ritengono che
la macchina a vapore sia di origine moderna e che
“invano si tenderebbe di rinvenire nelle vaghe tradizioni
scientifiche della Grecia e di Roma la traccia delle idee
che presiedettero alla sua creazione”. |
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Erone
esperimenta la eolipila in presenza dei filosofi della
Scuola di Alessandria (coll. A. Gamboni). |
La prima
rudimentale macchina a vapore fu ideata nel 1690 dal
matematico e fisico francese Denis Papin e fu usata per
pompare l’acqua. In realtà, il dispositivo era stato
descritto dallo stesso inventore in un’opera in lingua
inglese dal titolo News Digester, in seguito alla
quale la “pentola di Papin” era detta anche digestore.
In essa, l’effettivo lavoro era eseguito dall’aria più che
dalla pressione del vapore. |
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Papin
esperimenta la sua macchina davanti ai Professori dell’Università
di Marburgo (coll. A. Gamboni). |
Più efficiente si mostrò il cosiddetto
“motore atmosferico”, inventato nel 1705 dal britannico
Thomas Newcomen. Si trattava di un cilindro verticale con
uno stantuffo dotato di un contrappeso. Il vapore immesso a
bassa pressione dal fondo del cilindro spingeva verso l’alto
lo stantuffo, alleggerito dal contrappeso. Quando lo
stantuffo raggiungeva la sommità del cilindro si apriva
automaticamente una valvola e all’interno del cilindro
veniva spruzzato un getto d’acqua fredda: l’abbassamento di
temperatura faceva condensare il vapore e la pressione
atmosferica spingeva in basso lo stantuffo. Un braccio,
basculante su un perno fisso, collegava lo stelo dello
stantuffo con il contrappeso e si prolungava con una barra
che, alzandosi e abbassandosi secondo il movimento dello
stantuffo, azionava una pompa. Pur essendo poco efficiente,
il motore di Newcomen si rivelò abbastanza pratico e venne
largamente usato per pompare l’acqua fuori dalle miniere di
carbone. |
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Sezione della macchina a vapore di Newcomen e quella
impiegata a Londra nel XVIII secolo
per la elevazione delle
acque (coll. A. Gamboni). |
Partendo
dall’idea di migliorare il motore di Newcomen, lo scozzese
James Watt, negli anni ’70 del XVIII secolo,
realizzò una serie di importanti invenzioni che
portarono allo sviluppo della moderna macchina a vapore.
La prima di
tali realizzazioni fu un motore comprendente una camera di
condensazione del vapore separata, che permetteva di ridurre
la perdita di fluido che si verificava nell’alternarsi di
riscaldamenti e raffreddamenti del cilindro. Nel motore di
Watt, infatti, quest’ultimo era isolato e rimaneva alla
temperatura del vapore. La camera di condensazione separata
veniva raffreddata ad acqua ed era dotata di una pompa che
creava una depressione sufficiente ad aspirare il vapore dal
cilindro e serviva anche per rimuovere l’acqua dalla camera
di condensazione.
Un’altra
radicale innovazione dei primi motori di Watt consisteva nel
fatto che in essi era la pressione del vapore, e non quella
atmosferica, a compiere lavoro utile.
Watt inventò
anche il modo di trasformare il moto rettilineo alternativo
dello stantuffo nel moto rotatorio continuo di un volano,
utilizzando dapprima un sistema di ingranaggi detto
planetario, quindi un sistema biella-manovella.
Watt introdusse
inoltre il principio del doppio effetto, secondo il quale,
il vapore viene immesso alternativamente all’una o all’altra
estremità del cilindro in modo da azionare il pistone sia
nella corsa di andata sia in quella di ritorno, e dotò il
motore di una valvola di regolazione comandata da un
meccanismo a retroazione (noto ancor oggi come regolatore di
Watt) per mantenere costante la velocità di rotazione del
volano. |
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Schema della macchina di
Watt (da sito internet). |
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Officina
per la costruzione delle macchine a vapore di Bulton e Watt,
presso Birmingam (coll. A. Gamboni). |
Il primo che
tentò di costruire una macchina a vapore capace di azionare
ruote per lo spostamento fu l’ingegnere lorenese Joseph
Cugnot nel 1770. L’idea del francese era quella di impiegare
la sua macchina a vapore per il trasporto militare di pezzi
di artiglieria. L’esperimento avvenne in presenza del Duca
di Choiseul, suo protettore, del ministro della guerra e di
molti ufficiali. Purtroppo, come mostrato nella sottostante
incisione, Cugnot non fu in grado di governare il carro che,
acquistata velocità, andò a sbattere contro un muro.
Anche se il
carro ebbe vita breve, Cugnot fu premiato dal Governo con
una pensione annua di 600 franchi. Egli aveva dimostrato che
il vapore poteva essere utilizzato anche per la locomozione. |
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Esperienza
eseguita nel 1770 a Parigi, nell’interno dell’Arsenale,
da Cougnot
con il suo carro a vapore (coll. A. Gamboni). |
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Esemplare
del carro di Cugnot custodito a Parigi presso il
Conservatorio di arti e Mestieri (da sito internet). |
Un’altra grande
ed interessante invenzione si deve a Robert Stirling, un
pastore protestante scozzese che, nel 1816, ideò un motore
ad aria calda a combustione esterna.
L’invenzione
scaturì dalla preoccupazione e dal pericolo che correvano i
lavoratori delle miniere e delle fonderie, a causa delle
prime macchine a vapore che, molto spesso, esplodevano per
la scarsa qualità dei materiali di cui erano costruite le
caldaie. Il motore ad aria calda non poteva esplodere perché
funzionava ad una pressione inferiore e non potevano esserci
pericolose emissioni di vapore, fornendo una alternativa più
sicura rispetto alle macchine a vapore.
Dopo una prima fase di applicazione con buon successo, il
motore di Stirling fu abbandonato a causa dei
perfezionamenti delle macchine a vapore che, a livello di
rendimento, erano più efficienti. |
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Motore di
Stirling in versione didattica e suo schema di funzionamento
(da sito internet). |
Furono gli inglesi a realizzare la prima
locomotiva a vapore davvero funzionante ad opera di Richard
Trevithick nel 1804. La macchina a due assi non aveva i
bordini alle ruote, ma si muoveva sui binari con profilo a
“L” che guidava il veicolo. La locomotiva aveva un unico
cilindro che, per evitare inconvenienti causati dal suo
raffreddamento, era alloggiato all’interno della caldaia e
metteva in movimento i due assi per mezzo di un rinvio
dentato. |
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Modello della locomotiva di Trevithick
in scala 1:32 elaborato da A. Gamboni su base AIRFIX. |
Nel 1812
l’inglese John Blenkinsop costruì una locomotiva con due
cilindri ancora alloggiati all’interno della caldaia, che
mettevano in movimento una ruota dentata, la quale andava ad
innestarsi in una cremagliera posata di fianco ai normali
binari. La locomotiva prestò servizio per quasi 20 anni e
diede impulso allo sviluppo di successive locomotive a
cremagliera, senza tuttavia contribuire minimamente
all’evoluzione delle macchine ad aderenza naturale. |
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Locomotiva
a cremagliera esterna realizzata da John Blenkinsop (coll.
A. Gamboni). |
Concludiamo
queste brevi note con l’opera di colui che è passato alla
storia come il padre della locomotiva a vapore: George
Stephenson. La sua prima locomotiva impiegata nel servizio
pubblico fu la Locomotion che, nel 1825, trainò un
treno di 27 vagoni sul primo tratto ferroviario inglese da
Stockton a Darlinton. |
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La
Locomotion realizzata da George Stephenson nel 1825 (da sito
internet). |
Giorno
memorabile nella storia della locomotiva a vapore fu l’8
ottobre 1829. Il tratto ferroviario da Manchester a Liverpul
era stato completato e fu indetta una gara a Rainhill,
contea del Merseyside in Inghilterra, per designare la
locomotiva più potente. Le macchine in gara erano solo 4:
Novelty, Sans Pareil, Perseverance e la
Rocket di Stephenson, la quale risultò la più potente
trainando un treno di 19,4 tonnellate a 21 km/h. |
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Incisione
dell’epoca che mostra le locomotive partecipanti al concorso
di Rainhill (coll. A, Gamboni). |
La Rocket
possedeva una caldaia orizzontale a più tubi ed un focolaio
avvolto dal serbatoio dell’acqua. Il fuoco veniva utilizzato
con il vapore di scarico per mezzo di un soffiante, i due
cilindri erano posti obliquamente, sui lati della caldaia ed
azionavano il primo asse. Questo principio basilare della
caldaia della Rocket subì pochissime modifiche fino
al tramonto della locomotiva a vapore. La motrice di
Stephenson è stata praticamente la progenitrice delle
attuali macchine a vapore.
Anche le
locomotive di Stephenson però, come quelle dei suoi
predecessori, avevano un solo ampio tubo per focolare. Si
deve al francese Marc Seguin, direttore delle ferrovie
francesi di Lion, l’idea di sostituire l’unico
focolare con tanti tubi di diametro inferiore, inventando
così la caldaia a tubi bollitori. Seguin aumentò, inoltre il
tiraggio forzato convogliando il vapore di scarico del
cilindro nel fumaiolo, facendosi precursore del soffiante.
Da allora vi è
stato sempre un crescendo di perfezionamenti che hanno fatto
l’epopea della locomotiva a vapore.
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