Storia delle carrozze ferroviarie destinate ai pellegrinaggi mariani di Maurizio Panconesi |
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Se molto si conosce della storia dei pellegrinaggi mariani, poco o nulla invece è stato detto del mezzo tramite il quale, per decenni, gli stessi pellegrinaggi sono stati resi possibili: il treno. Questo breve articolo, pur nella sua limitata estensione, desidera esporre quali siano stati i rotabili grazie ai quali migliaia di pellegrini hanno potuto raggiungere, nel corso di ormai un secolo, i grandi santuari mariani di Lourdes, Fatima e Loreto. La storia dei pellegrinaggi, specie verso il grande Santuario francese coincide, in pratica, con quella dei mezzi ferroviari che li hanno resi possibili: prima del 1870 infatti, sarebbe stato impensabile trasportare in contemporanea, per via stradale, centinaia di persone ed ammalati verso una meta così lontana con i lenti veicoli a trazione animale lungo le vie di comunicazione dell’epoca: soltanto con il ricorso al treno, ed alle sue grandi possibilità di un più agevole trasporto (sia in termini quantitativi che qualitativi e di velocità) si poté pensare a realizzare “grandi pellegrinaggi di massa” che consentissero ai pellegrini, provenienti da una stessa città o regione, di effettuare insieme un viaggio, restando uniti dal momento della partenza a quello del ritorno a casa! La storia dei treni bianchi per Lourdes (ed in seguito, anche per Loreto) è la storia stessa di un’innovazione tecnica – il treno – messa in questo caso al servizio del dolore e della fede. Il primo, storico pellegrinaggio ufficiale a Lourdes in treno, proveniente dall’Italia, ebbe luogo nel giugno 1875, seguito da altri tre, rispettivamente nei mesi di settembre degli anni 1876, 1877 e 1878, tutti a quell’epoca organizzati dalla Società della Gioventù Cattolica Italiana. Particolarmente numeroso si rivelò il terzo pellegrinaggio, che giunse a Lourdes il 15 settembre 1877: ad esso parteciparono rappresentanze delle maggiori città italiane come Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli; alle ore quattordici del successivo 16 settembre, si tenne la cerimonia dell’offerta della Rosa d’oro inviata da Pio IX alla statua della Madonna nella Grotta di Massabielle.
Ma il ricorso al mezzo su rotaia è stata un’idea che si è sviluppata soprattutto con il Novecento. Nel secolo precedente infatti, pur con i viaggi sopra citati - che avevano avuto però per protagonisti semplici pellegrini e persone generalmente autosufficienti - non esisteva ancora il concetto del trasporto in treno degli infermi; la stessa disastrosa situazione a seguito delle sanguinose campagne risorgimentali, ne era la prova: appena pochi anni prima, le migliaia di feriti di Solferino e San Martino del 1859, abbandonati per giorni nel fango della colline teatro degli scontri tra franco-piemontesi ed austriaci, furono la triste (ed allora ricorrente realtà) che avrebbe ispirato a Henri Dunant la creazione di quella mirabile Istituzione che poi prenderà il nome di Croce Rossa Internazionale. In circostanze come quelle, le precarie condizioni dei feriti erano aggravate dal consueto ricorso per il loro trasporto (normale per l’epoca) ai carri bestiame, dotati di pagliericci sul pavimento! L’idea di realizzare dei rotabili ferroviari atti al trasporto dei feriti e degli ammalati in genere, si deve purtroppo far risalire a quella triste realtà bellica ed all’elevata percentuale di perdite che tali, primi rudimentali sistemi di trasporto, avevano comportato. Ma il passaggio a soluzioni più “umane” ed adeguate, non fu così veloce: per diversi decenni ancora, si continuò a fare ricorso a vagoni merci per il trasporto bestiame (i famosi carri detti “da cavalli 8, uomini 40” per designarne cinicamente ... la capacità) giungendo fin alle soglie della Grande Guerra. Tuttavia esistevano già, nella seconda metà dell’Ottocento, vetture particolari “per il trasporto ammalati”, seppur in numero esiguo e di uso specifico: si trattava, in realtà, di pochissime unità, dotate di uno o due posti letto, che le compagnie ferroviarie dell’epoca noleggiavano a ricchi benestanti desiderosi di spostarsi senza rinunciare alla benché minima comodità, avendo quindi a disposizione un intero vagone comprensivo di relativa camera da letto, locale per la servitù, e servizio: rappresentava, in sostanza, una soluzione assai più raffinata (e costosa) rispetto a quella consentita dagli allora già presenti “vagoni-letto” nei quali al viaggiatore era assegnata una brandina collocata in uno spazio assai ristretto, spesso condiviso (come oggi) con altri due o tre passeggeri. Grazie a vecchi documenti, possiamo oggi risalire a quella che fu la prima “vettura per il trasporto – ammalati” che corse sui binari italiani: era la “AB 138”, appartenuta verso il 1870 alla Società delle Strade Ferrate Romane, già esistente a quell’epoca poiché risultante dalla trasformazione di una carrozza viaggiatori realizzata circa vent’anni prima, nel 1848, dal costruttore inglese Wright per la Società della Strada Ferrata Leopolda (una delle prime società ferroviarie toscane che gestiva la linea da Firenze a Pisa); la vettura era assai simile a quella riportata nel disegno che accompagna il testo, con un compartimento dotato di un solo letto destinato all’infermo, uno per il personale di assistenza ed un locale per i servizi, una “comodità” quest’ultima non da poco poiché - ricordiamo - la toilette fu assente a bordo dei treni fino alle soglie del Novecento (...occorreva infatti scendere dal treno durante le fermate ed usufruire dei servizi delle stazioni o salire su appositi bagagliai, agganciati allo stesso treno, destinati a tale scopo!) Il tipo di vettura citato tuttavia, era più assimilabile ad una cosiddetta carrozza-salone dell’epoca che ad una normale vettura, proprio per quelle caratteristiche di lusso ed esclusività che la contraddistinguevano. Negli anni successivi, intorno al 1880, apparvero lungo le ferrovie italiane altre due carrozze per ammalati, costruite dallo stabilimento di Felice Grondona per la Società delle Strade Ferrate dell’Alta Italia, rotabili che vennero contraddistinti dai numeri 2.823 e 2.824, passando poi nel 1887 alla Rete Mediterranea con i numeri 10 ed 11.
1890 - la vettura trasporto ammalati della Società Mediterranea. Con il 1905 e l’avvento delle nuove Ferrovie dello Stato, la nuova gestione statale acquisì le precedenti due vetture della Società Mediterranea e le altrettante della Società Adriatica, adibendo poi negli anni successivi, per lo specifico trasporto ammalati, varie altre carrozze provenienti da svariate precedenti destinazioni d’uso: per questo, le FS procedettero nel 1914 alla ricostruzione di 2 preesistenti vetture, trasformando poi anche una vettura austriaca di preda bellica e, nel 1933, altre 2 ex carrozze-salone.
Carrozza centoporte FS nel progetto originale del 1905. Si trattò, come comprensibile, di adattamenti operati di volta in volta onde incrementare un (limitato) parco di rotabili destinati a tale uso, dando vita tuttavia ad una serie di mezzi assai eterogenea e con conseguenti problemi di compatibilità; gran parte infatti delle prime carrozze destinate ad entrare in composizione ai treni verso Lourdes organizzati fin dal 1904 da parte dell’UNITALSI, vennero tratte dall’ordinario servizio viaggiatori, venendo di volta in volta “adattate” al trasporto degli ammalati in virtù o meno della predisposizione di cui avevano beneficiato in sede di progetto e di costruzione.
Partenza da Bologna Centrale - Piazzale Ovest - negli anni '30. |
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Quindi, specie nei primi anni, per i pellegrinaggi si dovette spesso ricorrere ad adattamenti di vetture viaggiatori non realizzate per tale particolare utilizzo; soltanto tra il 1935 ed il 1942 alcune carrozze del gruppo “Cz 36.000” vennero trasformate per costituire dei “treni – ospedale” consentendovi la collocazione all’interno di 30 barelle; terminato anche il secondo conflitto, gran parte delle vetture vennero riconvertite lasciando soltanto 10 unità nell’allestimento tipo “treno – ospedale” con destinazione i treni per Lourdes e Loreto contrassegnandole, quale segno esteriore di distinzione dalle altre carrozze dello stesso gruppo, con grandi croci rosse in un circolo bianco, collocate sia sulle fiancate che sul tetto ed in pratica mantenendo la caratterizzazione che esso possedevano in tempo di guerra. La scelta cadde su tali tipi di vagoni “Cz 36.000”, definiti all’epoca “centoporte” (così chiamate per il fatto di essere provviste di un elevato numero di sportelli che davano lateralmente accesso ai singoli scompartimenti) per la possibilità che questi mezzi avevano di rendere più agevole il carico di infermi tramite l’apertura di una seconda anta, già esistente ma normalmente mantenuta chiusa, onde raddoppiare la larghezza di accesso per facilitare il carico delle barelle con feriti od ammalati, e la cui adozione era stata prevista per l’impiego in periodo bellico. Così si viaggiava...interno con lettino di una vecchia vettura centoporte negli anni '30. |
Lourdes anni '30. Dame appena scese da un treno bianco.
Il primo treno UNITALSI giunto a Loreto nel maggio 1936. Inizialmente, queste vetture furono assegnate alla Stazione di Roma Ostiense, venendo utilizzate in composizione ad altre carrozze solo in occasione di pellegrinaggi verso Lourdes: a tal fine, vennero abilitate anche alla circolazione internazionale con particolari accordi. A seguito dell’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia e delle conseguenti Sanzioni ad opera della comunità internazionale, i viaggi con destinazione Lourdes furono sospesi venendo sostituiti con quelli verso Loreto che da allora divenne, con il primo pellegrinaggio del maggio 1936, una delle nuove mete dell’UNITALSI.
Partenza da Loreto di un treno UNITALSI negli anni '40. Terminato il secondo conflitto mondiale, i treni bianchi ripresero la strada verso Loreto e Lourdes dopo la sospensione bellica: nel 1946, furono già quasi 5.000 i pellegrini ed ammalati che ripercorsero di nuovo i binari verso Loreto, seguiti l’anno successivo dai primi due treni per Lourdes, recanti a bordo centinaia di dame, barellieri ed ammalati che desideravano anche dimenticare le tante miserie e lutti degli anni precedenti. Il numero dei fedeli crebbe anno dopo anno, richiedendo già nel 1954 l’effettuazione di ben 30 treni diretti a Loreto e 31 diretti a Lourdes. Tra le date più significative, resta però quella storica del 1958, con i numerosi viaggi compiuti dalle varie regioni italiane verso la meta pirenaica: anche chi scrive, pur essendo allora solo un bambino, ricorda ancora con nostalgia quei giorni memorabili in cui vi partecipò con il Pellegrinaggio marchigiano guidato dai vescovi delle varie diocesi; in quell’anno, i nostri 61 treni bianchi vi trasportarono quasi 45.000 persone.
Treno UNITALSI con le vetture centoporte in una foto degli anni '50. |
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Interno di una vecchia centoporte adibita a barellato negli anni '50.
Carico di infermi su una vecchia carrozza 36.000 negli anni '50.
Tanto entusiasmo ...in III classe per una partenza negli anni '50. |
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Ritornando alle vicende dei mezzi utilizzati per i pellegrinaggi, le vecchie “centoporte”, grazie alle quali furono trasportati migliaia di ammalati nel corso di quasi mezzo secolo, restarono in servizio fino al 1981 quando furono sostituite da 10 allora modernissime carrozze SOCIMI che assunsero la marcatura “BMz” (successivamente divenute “BM”); i nuovi mezzi, oltre a possedere una maggiore capacità potendo accogliere 36 barelle contro le precedenti 30 in virtù della loro maggiore lunghezza (26 mt. contro i 18 delle “centoporte”), potevano entrare in composizione a treni abilitati alla velocità massima di 160 km/orari contro i precedenti 120 consentiti dalle vecchie “centoporte Cz 36.000”. Tali nuovi rotabili si distinguevano da ogni altro, proprio per il fatto di essere state progettate appositamente per il trasporto – ammalati, beneficiando per questo di particolari predisposizioni che ne rendevano più razionale l’utilizzo; pur ispirandosi alle già esistenti vetture del tipo “X”, tuttavia disponevano di una cassa con diverse differenze, come la larga porta centrale ad ante ripiegabili per consentire l’incarrozzamento più agevole di lettini e barelle, i due vani unici sui due lati destinati ad accogliere, su due ordini di altezze, i lettini degli infermi, ed i due ambienti alle estremità per i servizi ed il guardaroba. Scomparve invece dal tetto la precedente croce rossa presente sulle vecchie vetture, retaggio dell’utilizzo “bellico”, mentre il simbolo rimase presente unicamente sulle fiancate ad attestarne ancora la specifica destinazione. Delle vecchie e gloriose “centoporte”, protagoniste di tanti, lunghi viaggi della speranza, quattro unità vennero subito demolite nello stesso anno 1981, seguite dall’accantonamento a Roma Ostiense delle restanti con la loro successiva demolizione nel 1987.
Le nuove carrozze SOCIMI dell'UNITALSI per il trasporto ammalati dal 1981. Nel 2003 infine, in un più ampio piano di creazione di un parco di vagoni destinati ai treni diretti a Lourdes e Fatima da ogni sede regionale, le Ferrovie dello Stato adattarono 90 carrozze-cuccette di II classe al fine di renderle disponibili per il servizio dell’UNITALSI: la trasformazione venne effettuata dalle Officine FERVET di Castelfranco Veneto, da quelle Magliola di Santhià, dalle RSI di Roma e dalle Officine Veronesi. Le nuove vetture sono andate a costituire 10 convogli - standard, composti da 9 carrozze di tale tipo più 1, detta “BM” (barellato), destinata ad accogliere i malati più gravi non autosufficienti; le modifiche hanno comportato anche l’installazione di un impianto di condizionamento sulla “BM”, il rifacimento della tappezzeria in colore blu e la sostituzione delle precedenti porte a battente con altre “a libro” per un più agevole accesso degli ammalati.
Il primo pellegrinaggio in treno a Lourdes dell’UNITALSI emiliana nel 1913
Relativamente ai pellegrinaggi effettuati dall’UNITALSI, Associazione nata come sappiamo nel 1903, i primi viaggi furono effettuati negli anni immediatamente successivi a tale data: in particolare, desideriamo ricordare il primo pellegrinaggio in assoluto compiuto dall’Emilia – Romagna, effettuato dal 5 al 13 agosto 1913. I dati riportati ci sono stati trasmessi dalla relazione lasciataci da Mons. Pranzini che vi partecipò personalmente, insieme a 6 ammalati, nel contesto della più ampia partecipazione di 270 pellegrini emiliani e 2.250 da tutta l’Italia; si trattò del primo viaggio dall’Emilia – Romagna e del decimo in assoluto organizzato dall’UNITALSI dalla data della sua fondazione. Il treno partì alle ore 11 del 5 agosto dalla Stazione di Bologna. Quando pellegrini, barellieri ed ammalati giunsero sul marciapiede della stazione, era già pronto in attesa un lungo convoglio, recante su ogni sportello il numero dello scompartimento assegnato a ciascun gruppo di partecipanti; preso posto sul convoglio non senza un po’ di smarrimento (...per i più, questo costituiva il primo viaggio a bordo di un treno!) il lunghissimo treno, sbuffando, si allontanò lentamente dalla tettoia della stazione sotto una grande nuvola di fumo e vapore. Ammalati e loro accompagnatori trascorsero la notte – come era uso allora - sotto la pensilina della stazione di Genova (...ben altra cosa quindi da quanto accade oggi!) mentre la Città era illuminata, dalla parte alta fino al mare, da migliaia di luci; giunti il mattino successivo a Ventimiglia, si effettuò una lunga sosta per il controllo doganale e dei passaporti, provvedendo anche ad arretrare di un’ora gli orologi: qui venne effettuato il laborioso trasbordo degli ammalati, pellegrini e loro bagagli su un treno francese: si ripartì alle 14,30, mentre Mons. Pranzini osservava nel suo diario di viaggio, non senza disappunto: “...le carrozze non sono più intercomunicanti come le nostre”. Trascorsa la seconda notte a Montpellier, l’alba accolse il treno in vista di Carcassonne, sotto un cielo plumbeo, denso di nuvole: si giunse poi a Tarbes, seppur con un po’ di ritardo, e poco dopo, dai finestrini si iniziò a scorgere la croce in ferro del Pic Du Jer mentre lungo la strada che fiancheggiava la linea, altri pellegrini in carovana rispondevano ai saluti di coloro che erano sul treno. Trascorsi alcuni giorni nella località dei Pirenei, il primo treno dell’UNITALSI partito dalla terra emiliana, seppur ancora nel buio, fece ritorno nel Capoluogo “ ...Ecco il chiarore della Città! Fischia la vaporiera e, col ritardo di un’ora, entra nella tettoia sonante: il marciapiede è gremito dei nostri cari, è tutta una festa”. Così si concludeva il resoconto di Mons. Pranzini del primo pellegrinaggio emiliano compiuto ormai un secolo fa.
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Documentazione iconografica a cura dell'autore. |
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