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di Gennaro Fiorentino | |
Senza dubbio nell’immaginario collettivo il sistema ferroviario monorotaia, nelle sue articolate e molteplici declinazioni, viene associato ad immagini di fantascienza e di una storia tutta da scrivere. Ciò, in parte non esatto e non aderente alla realtà, è frutto di un’iconografia fantasiosa e di una saggistica talvolta disinformata. Gli esempi di quanto le monorotaie siano più concrete e reali di quanto si possa pensare, sono tanti e talvolta la datazione dei vari impianti sparsi nel mondo, sono addirittura sorprendenti. Forse quella più nota in Italia, e di certo ai non più giovanissimi, fu quella entrata in servizio nel parco “Italia ‘61” di Torino, sia pure per un breve tragitto.
Vecchia immagine della monorotaia di Italia 61 a Torino (Collezione G. Fiorentino). Ma essa aveva avuto un’illustre progenitrice in un impianto costruito a Genova nel 1914 per l’esposizione d’igiene e chiamato Telfer. Quindi parliamo di circa 40 avanti quello di Torino. E guarda caso con una tecnologia simile a quella del 1961, almeno per l’assetto definito dai tecnici “a sella”. Altri esempi sarebbero da citare a conforto di un’idea di avanzata tecnica venuta non dal futuro, ma dal passato. I lettori più interessati ne possono trovare già in questo sito attraverso il nostro archivio.
Antesignana il vagone Telfer in esposizione occasionale a Genova (Cartolina). Questo prologo per introdurre l’argomento della monorotaia Brennan risalente al 1907, la più antica, ma la più geniale tra quelle citate; non fosse altro che per il singolare knowhow. L’ingegnere inglese Louis Brennan, com’è intuibile, ne fu l’inventore. Anzi il bizzarro sistema, di cui parleremo appresso, è uno dei pochi aderente all’accezione monorotaia. Infatti utilizzava proprio un’unica rotaia convenzionale Vignole posta sotto il vagone che ospitava sia gli organi di trazione che il settore passeggeri (sia pure ancora ad uno stato primitivo e grossolano). L’impianto dimostrativo e dunque di limitata estensione, fu costruito in un sobborgo di Londra a Whitecity.
Immagine laterale che evidenzia le ruote “in fila” sotto il veicolo. In sostanza, la vettura unica in questa prima versione era dotata di quattro ruote a doppia flangia. Ma non già immaginabili come due sale affiancate; al contrario come quattro ruote di bicicletta in fila. Il curioso treno, dal peso di 22 ton compreso i trasportati, si muoveva dunque sull’unica rotaia con una certa decisione. L’equilibrio era assicurato non già da una magia, ma da una geniale applicazione del dispositivo fisico chiamato giroscopio (vedi box esplicativo) che ancora oggi viene utilizzato nel terzo millennio per l’assetto di sommergibili e velivoli (anche spaziali). Andando nel particolare si deve citare che il veicolo di Brennan era equipaggiato con due giroscopi tenuti in esercizio (per assicurare l’assetto) da due motori elettrici alimentati da una poderosa dinamo. Il generatore era a sua volta reso produttivo da due macchine tradizionali a benzina che avevano anche il compito di assicurarne la propulsione.
Spaccato un po’ naif d’epoca che, benché in inglese, ne descrive con efficacia la tecnica (Da wikipedia). L’ingegnere era talmente convinto della sua idea, che fece precedere il modello dimostrativo da alcune copie in scala cui affidò il trasporto dei suoi giovani figli assicurati, non già ad una pur precaria rotaia sul suolo, bensì ad una cordicella posta tra due alberi in giardino. Non solo, ma durante i viaggi sperimentali a Whitehall, invitava i passeggeri-cavia a spostarsi ora da un lato, ora dall’altro per creare un involontario squilibrio di peso che non arrecava tuttavia alcun disturbo all’assetto.
Malgrado la forza centrifuga, nessun timore di svio (Collezione privata). Come la storia racconta, nessun seguito ebbe l’invenzione dell’ingegnere Brennan. E’ vero che il suo sistema avrebbe fatto risparmiare chilometri e chilometri di costose rotaie, ma d’altro canto lo si ritenne non del tutto sicuro. Infatti la commissione tecnica previde che non poteva incoraggiare un impianto la cui affidabilità era tutta nell’efficienza dell’ausilio di uno o più giroscopi; non del tutto a prova di guasto. Posso però affiancare a queste motivazioni anche la mia opinione che si ispira a tanti episodi di lobby ed interessi economici. Le novità e le innovazioni stentano quasi sempre a farsi spazio perché finiscono comunque con l’interferire con sistemi vigenti di cui è impossibile non anticipare l’obsolescenza; anche per motivi di carattere lobbistico. Mi viene a tal proposito in mente una storia proprio nel campo ferroviario. Parlo dell’Aerotreno Bertin, una via di mezzo tra la monorotaia e l’hovercraft.
Immagine d’epoca dell’aerotrain Bertin (Da sito istituzionale). Pur avendo dato promettenti risultati in Francia presso Orleans su un percorso ben definito nell’epoca (1965-1970), si disse fatto fallire per non compromettere l’incombente progetto TGV, che già aveva impegnato imprese ed enormi risorse finanziarie. Fanta politica? Diceva qualcuno: a parlar male qualche volta ci si azzecca.
Questo articoletto mi è stato ispirato dal socio Peppe Vitiello e dal suo rinvenimento di un’immagine del curioso treno.
Foto del Titolo da rivista “Atlas”
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