di Antonio Gamboni

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In piazzetta Montesanto, dove ancora sopravvivono le tradizioni di quando la zona era fuori Porta - la Porta Medina demolita nel 1873 - quel lontano lunedì 1° luglio 1889 si faceva festa. Bandiere tricolori e coperte policrome pendevano dai balconi ed una folla di persone attendeva, cartoncino di invito alla mano, di prender posto sul primo treno, quello che doveva inaugurare la realizzata ferrovia che da Montesanto portava a Terme Patamia. In realtà quel giorno si aprivano all’esercizio solo otto chilometri e seicento metri dei circa venti dell’intero percorso fino a Torregaveta.

La stazione della Ferrovia Cumana tratta dalla "Illustrazione Italiana" (coll. A. Gamboni).

Ma leggiamo cosa scrisse l’anonimo cronista sulle colonne del “Risorgimento” del 2 luglio 1889: “Alle 6 del pomeriggio il fischio della vaporiera echeggiò sotto la collina di Sant’Elmo e di Posillipo, coll’apertura del primo tratto della nuova ferrovia Napoli-Pozzuoli-Cuma. L’apertura di questa linea convertirà Pozzuoli e le isole di Ischia e Procida in altrettanti rioni di Napoli. Il commercio e le industrie se ne avvantaggeranno oltre ogni credere”.

Anche se denominata “Ferrovia Cumana”, in realtà la linea aveva una fermata a “Cuma-Fusaro”, alquanto distante dalla località della Sibilla, la somma sacerdotessa dell’oracolo di Apollo e di Ecate.

Cartina con l'indicazione del percorso (elab.ne A. Gamboni)

 

La società anonima che avrebbe realizzato ed esercitato questa seconda ferrovia complementare della Campania, anche se di nascita tutta italiana, vide con il tempo sempre più una influenza belga fino ad esserne completamente controllata.

Essa si costituì il 20 agosto del 1883 con la ragione sociale “Società per le Ferrovie Napoletane” (SFN) e con un capitale di 5.000.000 di lire interamente versato.

Senza inoltrarci in complesse vicende societarie, diciamo solo che la SFN durante i primi anni di vita fu controllata inizialmente dalla “Società Generale per le Ferrovie Complementari” (patrocinata dal Banco di Roma) e poi, fino al 1904, dalla “Société belge des chemins de fer”.

 

Frontespizio ed interno di un Orario del 1906 della Ferrovia Cumana (coll. E. Bowinkel).   

Orario del 1915 relativo alle corse del mattino della Ferrovia Cumana.

Molto 'pratica' la pubblicità delle reti in ferro che il fabbricante consiglia agli sposi ...

 ... perché molto resistenti (Biblioteca Provinciale Benevento).

 

Nel 1938, undici anni dopo l’elettrificazione della ferrovia, subentrò alla precedente società la “Società per l’Esercizio di Pubblici Servizi Anonima”, (S.E.P.S.A.), la quale intraprese importanti lavori per potenziare ed ammodernare la linea che, attualmente, è gestita dall’Ente Autonomo Volturno (EAVFerro).

Il primitivo percorso

La Ferrovia Cumana si attestava a Napoli in una zona della città alquanto centrale: piazzetta Montesanto. Qui un elegante fabbricato, che ospitava anche la stazione inferiore della funicolare di Montesanto, aveva funzione di stazione. Parte dei binari necessari al servizio, a causa del ristretto piazzale, si trovavano già in galleria. E così il treno, appena partito, subito “s’imbuca[va] nella galleria Sant’Elmo, lunga 2.300 metri, ricavata parte in tufo e per 500 metri in trachite, passando sotto l’ospedale militare della Trinità”.

Il ridotto piazzale della stazione di Montesanto (da F. Ogliari, Terra di primati).

Oltrepassata la collina di Sant’Elmo, si usciva sul Corso Vittorio Emanuele in prossimità del celebre ristorante-pizzeria “Le Quattro Stagioni”. Qui vi era la prima fermata, con un percorso all’aperto di circa trecento metri per poi tornare ed attraversare la collina di Posillipo con un traforo nel tufo di 1.050 metri. Questa galleria usciva a Fuorigrotta, alle spalle dell’allora piazza Giacomo Leopardi, dove vi era la seconda fermata.

La fermata del Corso V. Emanuele della Ferrovia Cumana nei primi anni di esercizio.

(Archivio S.E.P.S.A.) 

Quindi la linea proseguiva da Fuorigrotta ai Bagnoli quasi parallelamente alla Provinciale dove effettuava un’altra fermata ad uso dei bagnanti. Quindi sostava presso lo stabilimento termale Patamia, creando una dura concorrenza alle carrozzelle che partivano all’alba dal Largo della Carità.

Treno diretto a Napoli al traino di una locomotiva (coll. A. Gamboni).

Ancora una stazione presso il porto di Pozzuoli ed una fermata ad Arco Felice, ad uso dei cantieri Armstrong. A questa fermata, dopo aver traversato la punta dell’Epitaffio con una galleria, segue quella di Baia-Cuma, proprio “in quella conca incantata ove sono le mine dei templi di Diana”.

La stazioncina di Baia della Ferrovia Cumana (coll. E. Bowinkel).

Tornata di nuovo in galleria, la linea sbucava nella conca del Fusaro da dove, dopo la fermata, proseguiva per altri tre chilometri per giungere infine alla baia di Torregaveta, a ponente del Capo Miseno. Qui fu costruito un piccolo porto dove approdavano i vaporetti per Procida ed Ischia in corrispondenza dei treni della Cumana. L’intero percorso da Montesanto a Ischia richiedeva meno di un’ora.

La ferrovia terminava a Torregaveta, in prossimità del mare (coll. A. Gamboni).

Quel treno per Cuma

Per avere la sensazione di quale potesse essere un viaggio sul vecchio trenino della Cumana, affidiamo alla penna facile e scorrevole di Antonio Scotti di Uccio, scrittore e giornalista napoletano classe 1928, la descrizione di un viaggio sulle vetturette di quella romantica ferrovia. Ecco cosa scriveva nel 1972: “Il trenino della Cumana (ora non sappiamo più quasi come è fatto: ed è un dolce rimpianto) era un nostro amico dell’estate. Quando, alla fermata del Corso, lo vedevamo sbucare sbuffando proveniente da Montesanto di sotto ad un tunnel che sembrava, a noi giovanissimi, come un tremendo Moloch, era una corsa allegra. Scattavamo come saette per conquistare il posto (e si andava in prima!) che cedevamo alla mamma ed alle sue amiche; noi preferivamo, poi, andarcene sul terrazzino: il vecchio belvedere. Per goderci la passeggiata, il tran tran sulle ruote non molto veloce, a far finta di nulla ma notare qualche coppia appena più adulta, furtivamente pronta ad intrecciare le mani nelle mani.

Paragonarle a quelle odierne dei trenini elettrici: il capostazione dal berretto rosso, il cancelletto dipinto di verde per l’uscita, le siepi di fiori profumati. Fiori semplici di stagione con certe ortensie multicolori che davano il capogiro, l’immancabile seriosa coppia di carabinieri.

Non era veloce il nostro amico trenino. Ma ci concedeva il lusso del chiaroscuro: un tunnel breve: uno spicchio di sole; un tunnel più lungo: una panoramica di azzurro fatta di mare e cielo a contatto. Tecnicolor della più pura luce. Un regista, un fotografo, uno scenografo di quelli moderni non avrebbero potuto far meglio. Aveva pensato a tutto l’alchimista dell’Universo. . .

La fermata delle Terme Puteolane, ad esempio. Ecco una cartolina che abbiamo nell’album dei ricordi. Una specie di sogno. Giù si sentiva Pozzuoli, alveare di odori di pesce fresco e fritto, ma, durante la sosta, osservavamo come affascinati: piante esotiche, scalinatelle che si intrecciavano, ombrelloni su spiazzi ampi di terrazze fatte a balconate, lumi colorati.

La Stazione Terme Patamia vista dalla strada (coll. E. Bowinkel).  

Predominava il rosso mattone. Un rosso di lusso: come un pugno nell’occhio, ma dato con stile. C’era ancora, un tratto di ferrovia - se ben ricordiamo - lungo la Pietra, con altri tunnel che si intrecciavano, ed il fischio della locomotiva accompagnava l’uscita mentre si scorgeva, d’improvviso, un tratto di strada che sfiorava il mare. Esisteva un intermezzo di verde costituito da canne di bambù o di viti, di frasche rilucenti e di erbe selvagge: quale contrasto. E poi l’incantesimo della visione: la barca a vela ondeggiante pigramente, una specie di paranza che si dondolava. C’erano anche spruzzi di fichi d’india invidiati. Li avremmo voluti cogliere al volo. Ci avvicinavamo, così, alla meta: alla parte, a quel tempo dell’anteguerra, più bella della nostra Napoli. Quando il treno si fermava a Lucrino: era fatta.

Il trenino della Cumana in prossimità dello stabilimento balneare di Lucrino (coll. G. Litigio).

E bisognava attendere le prime ore della sera per rifare il cammino a ritroso ed a volte con la luce diffusa di una luna inviolata piena di sospiri, di occhiate amichevoli, di strizzatine, di quelle che sembravano occhi per una carezza fugace”.

Purtroppo questa visione della Ferrovia Cumana descritta dallo Scotti resta solo presente “in alcune cartoline che abbiamo nell’album dei ricordi”.

 

 

Il treno di Assunta Spina

La mia passione per il cinema muto napoletano mi ha portato ad una sorprendente scoperta. Navigando in internet, mi sono imbattuto in una copia restaurata di “Assunta Spina”, un film del 1915 interpretato da Francesca Bertini e Gustavo Serena che ne curarono anche la regia.

Tratta dal dramma omonimo di Salvatore Di Giacomo, la pellicola, annoverata tra quelle di maggiore successo del cinema muto italiano, fu girata in bianco e nero e prodotta dalla “Caesar Film”, quella che diverrà la famosa “Titanus”.

Rinviando la trama del film ad altri siti specializzati, fermiamo la nostra attenzione su una delle prime azioni. Forse ispirandosi a “L’Arrivée d’un train à La Ciotat”, una scena girata dai Fratelli Lumière nel 1896, il regista Gustavo Serena fa giungere il protagonista a Napoli con un treno, inquadrato in primo piano ma senza riscontri apparenti della località.

Osservando il fotogramma della locomotiva, notiamo che sul pancone si legge chiaramente “F. N. - N. 4” e che si tratta di una locotender a scartamento ordinario. Poiché il film fu girato a Napoli nel 1915, non poche erano le possibilità ferroviarie. Tuttavia, non potevano essere prese in considerazione la Napoli-Nola-Baiano e la Circumvesuviana (a scartamento ridotto), l’Alifana (a scartamento ridotto ed a trazione elettrica) e la Valle Caudina che non partiva da Napoli. Rimanevano le Ferrovie dello Stato e la Ferrovia Cumana. Ma, ricordando che la ragione sociale di quest’ultima era “Società per le Ferrovie Napoletane” e che quindi la sigla “F. N.” si attagliava perfettamente, scartai una appartenenza alle Ferrovie dello Stato.

Bene, ma si trattava proprio della Cumana? La risposta è affermativa: il muraglione dietro il treno e le case in alto sulla sinistra mi fecero pensare alla stazione di Pozzuoli e, quindi, ad un convoglio in direzione Napoli.

Una verifica sul posto non fece che confermare le mie ipotesi.

La locotender n. 4 della Cumana nella stazione di Pozzuoli.

(Fotogramma dal film "Assunta Spina" del 1915)

Treno della Cumana nella stazione di Pozzuoli (coll. A. Cozzolino).

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