In piazzetta Montesanto, dove ancora
sopravvivono le tradizioni di quando la zona era
fuori Porta - la Porta Medina demolita nel 1873
- quel lontano lunedì 1° luglio 1889 si faceva
festa. Bandiere tricolori e coperte policrome
pendevano dai balconi ed una folla di persone
attendeva, cartoncino di invito alla mano, di
prender posto sul primo treno, quello che doveva
inaugurare la realizzata ferrovia che da
Montesanto portava a Terme Patamia. In realtà
quel giorno si aprivano all’esercizio solo otto
chilometri e seicento metri dei circa venti
dell’intero percorso fino a Torregaveta.
La stazione della Ferrovia Cumana tratta
dalla "Illustrazione Italiana" (coll. A. Gamboni).
Ma leggiamo cosa scrisse l’anonimo cronista
sulle colonne del “Risorgimento” del 2 luglio
1889: “Alle 6 del pomeriggio il fischio della
vaporiera echeggiò sotto la collina di Sant’Elmo
e di Posillipo, coll’apertura del primo tratto
della nuova ferrovia Napoli-Pozzuoli-Cuma.
L’apertura di questa linea convertirà Pozzuoli e
le isole di Ischia e Procida in altrettanti
rioni di Napoli. Il commercio e le industrie se
ne avvantaggeranno oltre ogni credere”.
Anche se denominata “Ferrovia Cumana”, in realtà
la linea aveva una fermata a “Cuma-Fusaro”,
alquanto distante dalla località della Sibilla,
la somma sacerdotessa dell’oracolo di Apollo e
di Ecate.
Cartina con l'indicazione del percorso (elab.ne
A. Gamboni)
|
La società anonima che avrebbe realizzato ed
esercitato questa seconda ferrovia complementare
della Campania, anche se di nascita tutta
italiana, vide con il tempo sempre più una
influenza belga fino ad esserne completamente
controllata.
Essa si costituì il 20 agosto del
1883 con la ragione sociale “Società per le
Ferrovie Napoletane” (SFN) e con un capitale di
5.000.000 di lire interamente versato.
Senza inoltrarci in complesse vicende
societarie, diciamo solo che la SFN durante i
primi anni di vita fu controllata inizialmente
dalla “Società Generale per le Ferrovie
Complementari” (patrocinata dal Banco di Roma) e
poi, fino al 1904, dalla “Société belge des
chemins de fer”.
|
|
Frontespizio ed
interno di un
Orario del 1906
della Ferrovia
Cumana (coll. E.
Bowinkel).
Orario del 1915 relativo alle corse del mattino
della Ferrovia Cumana.
Molto 'pratica' la
pubblicità delle reti in ferro che il
fabbricante consiglia agli sposi ...
...
perché molto resistenti (Biblioteca Provinciale
Benevento).
Nel 1938, undici anni dopo l’elettrificazione
della ferrovia, subentrò alla precedente società la
“Società per l’Esercizio di Pubblici Servizi
Anonima”, (S.E.P.S.A.), la quale intraprese
importanti lavori per potenziare ed ammodernare
la linea che, attualmente, è gestita dall’Ente Autonomo
Volturno (EAVFerro).
Il primitivo percorso
La Ferrovia Cumana si attestava a Napoli in una
zona della città alquanto centrale: piazzetta Montesanto.
Qui un elegante fabbricato, che ospitava anche
la stazione inferiore della funicolare di Montesanto, aveva funzione di
stazione. Parte dei binari
necessari al servizio, a causa del ristretto
piazzale, si trovavano già in galleria. E così
il treno, appena partito, subito
“s’imbuca[va] nella galleria Sant’Elmo, lunga
2.300 metri, ricavata parte in tufo e per 500
metri in trachite, passando sotto l’ospedale
militare della Trinità”.
Il ridotto piazzale della stazione di Montesanto
(da F. Ogliari, Terra di primati).
Oltrepassata la collina
di Sant’Elmo, si usciva sul Corso Vittorio
Emanuele in prossimità del celebre
ristorante-pizzeria “Le Quattro Stagioni”.
Qui vi era la prima fermata, con un percorso
all’aperto di circa trecento metri per poi
tornare ed attraversare la collina di Posillipo
con un traforo nel tufo di 1.050 metri. Questa
galleria usciva a Fuorigrotta, alle spalle
dell’allora piazza Giacomo Leopardi, dove vi era
la seconda fermata.
La fermata del Corso V. Emanuele della Ferrovia
Cumana nei primi anni di esercizio.
(Archivio S.E.P.S.A.)
Quindi la linea proseguiva
da Fuorigrotta ai Bagnoli quasi parallelamente
alla Provinciale dove effettuava un’altra fermata ad
uso dei bagnanti. Quindi sostava presso lo stabilimento termale Patamia,
creando una dura concorrenza alle carrozzelle
che partivano all’alba dal Largo della Carità.
Treno diretto a Napoli al traino di una
locomotiva (coll. A. Gamboni).
Ancora una stazione presso il porto di Pozzuoli
ed una fermata ad Arco Felice, ad uso dei
cantieri Armstrong. A questa fermata, dopo aver
traversato la punta dell’Epitaffio con una
galleria, segue quella di Baia-Cuma, proprio
“in quella conca incantata ove sono le mine dei
templi di Diana”.
La stazioncina di Baia della Ferrovia Cumana
(coll. E. Bowinkel).
Tornata di nuovo in galleria,
la linea sbucava nella conca del Fusaro da dove,
dopo la fermata, proseguiva per altri tre
chilometri per giungere infine alla baia di
Torregaveta, a ponente del Capo Miseno. Qui fu
costruito un piccolo porto dove approdavano i
vaporetti per Procida ed Ischia in
corrispondenza dei treni della Cumana. L’intero
percorso da Montesanto a Ischia richiedeva meno
di un’ora.
La ferrovia terminava a Torregaveta, in
prossimità del mare (coll. A. Gamboni).
Quel treno per Cuma
Per avere la sensazione di quale potesse essere
un viaggio sul vecchio trenino della Cumana,
affidiamo alla penna facile e scorrevole di
Antonio Scotti di Uccio, scrittore e giornalista
napoletano classe 1928, la descrizione di un
viaggio sulle vetturette di quella romantica
ferrovia. Ecco cosa scriveva nel 1972: “Il
trenino della Cumana (ora non sappiamo più quasi
come è fatto: ed è un dolce rimpianto) era un
nostro amico dell’estate. Quando, alla fermata
del Corso, lo vedevamo sbucare sbuffando
proveniente da Montesanto di sotto ad un tunnel
che sembrava, a noi giovanissimi, come un
tremendo Moloch, era una corsa allegra.
Scattavamo come saette per conquistare il posto
(e si andava in prima!) che cedevamo alla mamma
ed alle sue amiche; noi preferivamo, poi,
andarcene sul terrazzino: il vecchio belvedere.
Per goderci la passeggiata, il tran tran sulle
ruote non molto veloce, a far finta di nulla ma
notare qualche coppia appena più adulta,
furtivamente pronta ad intrecciare le mani nelle
mani.
Paragonarle a quelle odierne dei trenini
elettrici: il capostazione dal berretto rosso,
il cancelletto dipinto di verde per l’uscita, le
siepi di fiori profumati. Fiori semplici di
stagione con certe ortensie multicolori che
davano il capogiro, l’immancabile seriosa coppia
di carabinieri.
Non
era veloce il nostro amico trenino. Ma ci
concedeva il lusso del chiaroscuro: un tunnel
breve: uno spicchio di sole; un tunnel più
lungo: una panoramica di azzurro fatta di mare e
cielo a contatto. Tecnicolor della più pura
luce. Un regista, un fotografo, uno scenografo
di quelli moderni non avrebbero potuto far
meglio. Aveva pensato a tutto l’alchimista
dell’Universo. . .
La fermata delle Terme Puteolane, ad esempio.
Ecco una cartolina che abbiamo nell’album dei
ricordi. Una specie di sogno. Giù si sentiva
Pozzuoli, alveare di odori di pesce fresco e
fritto, ma, durante la sosta, osservavamo come
affascinati: piante esotiche, scalinatelle che
si intrecciavano, ombrelloni su spiazzi ampi di
terrazze fatte a balconate, lumi colorati.
La Stazione Terme Patamia vista dalla strada
(coll. E. Bowinkel).
Predominava il rosso mattone. Un rosso di lusso:
come un pugno nell’occhio, ma dato con stile.
C’era ancora, un tratto di ferrovia - se ben
ricordiamo - lungo la Pietra, con altri tunnel
che si intrecciavano, ed il fischio della
locomotiva accompagnava l’uscita mentre si
scorgeva, d’improvviso, un tratto di strada che
sfiorava il mare. Esisteva un intermezzo di
verde costituito da canne di bambù o di viti, di
frasche rilucenti e di erbe selvagge: quale
contrasto. E poi l’incantesimo della visione: la
barca a vela ondeggiante pigramente, una specie
di paranza che si dondolava. C’erano anche
spruzzi di fichi d’india invidiati. Li avremmo
voluti cogliere al volo. Ci avvicinavamo, così,
alla meta: alla parte, a quel tempo
dell’anteguerra, più bella della nostra Napoli.
Quando il treno si fermava a Lucrino: era fatta.
Il trenino della Cumana in prossimità dello
stabilimento balneare di Lucrino (coll. G.
Litigio).
E bisognava attendere le prime ore della sera
per rifare il cammino a ritroso ed a volte con
la luce diffusa di una luna inviolata piena di
sospiri, di occhiate amichevoli, di strizzatine,
di quelle che sembravano occhi per una carezza
fugace”.
Purtroppo questa visione della Ferrovia Cumana
descritta dallo Scotti resta solo presente “in
alcune cartoline che abbiamo nell’album dei
ricordi”.
|